La tradizione delle Cene di San Giuseppe. Parla la signora Enza

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Dalla prima risalente al XIX secolo a quelle odierne. Le “cene di San Giuseppe” costituiscono un elemento fondamentale della tradizione santacrocese per il raggiungimento delle vette più alte di devozione nei confronti del Patriarca.

Quasi il simbolo per eccellenza di questo speciale rapporto che, in capo al popolo santacrocese, è maturato nel corso di una tradizione maturata nel corso dei secoli. Le “cene” richiamano visitatori da ogni dove, incuriositi di potere approfondire la propria conoscenza con quest’elemento senz’altro poco consueto di quella particolare attenzione riversata dalle famiglie dei fedeli nei confronti della sacra figura del padre putativo di Gesù.

La famiglia della signora Enza Emmolo è una delle più antiche tra quelle che preparano le Cene. “Proprio quest’anno salteremo perché c’è una nostra parente che non sta molto bene e allora evitiamo di mettere su tutto il lavoro per il quale la nostra famiglia impiega solitamente una settimana mentre altre famiglie iniziano ancora prima con i biscotti – racconta -. Facciamo il pane con il lievito madre, infornato nel forno antico. Questo lo facciamo il mercoledì sera per arrivare al giovedì pomeriggio, poi dipende sempre da quanto pane si deve fare.

Come da tradizione, insegnatami da mia nonna (noi siamo tre sorelle e due fratelli) il primo pane viene regalato, così come il primo pastizzo di spinaci va donato. Poi viene fatto il pane per la Cena”. Rigorosamente con la frase “L’Ancilu passa, ‘a razia ci lassa, l’Ancilu passau, ‘a razia ci lassau. Crisci pani, ‘ca santa razia c’è, e diu lu crisci”. Per primi mangeranno San Giuseppe, la madonna e il bambino, poi tutti gli altri.

Altro piatto tipico, certamente la “principisseda”. “La pasta al sugo che prima si faceva senza carne perché in periodo di quaresima, adesso si dà un po’ di sapore con carne di maiale e di vitello. Noi mettiamo anche lo stratto e poi tanti aromi: cardamomo, cannella, alloro, chiodi di garofano”.

Naturalmente, le famiglie che hanno promosso le “cene” si sono preventivamente accordate con istituti caritatevoli o con nuclei familiari bisognosi a cui parte del cibo viene destinato mentre il resto sarà suddiviso tra parenti e amici. Comunque sia, nessuna parte della “cena”, com’è giusto che sia anche per la sacralità che la stessa promana, andrà perduta.