Torturava i migranti ed estorceva denaro, arrestato a Ragusa

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Torturava e induceva in schiavitù i migranti che tentavano di arrivare in Italia e quelli che erano riusciti ad arrivarci. La terribile storia è stata scoperta dalla Squadra Mobile di Ragusa che, su delega della Procura della Repubblica di Catania — Direzione Distrettuale Antimafia, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un cittadino bengalese di 25 anni.

E’ accusato di far parte di una associazione per delinquere — con basi in Libia, in Bangladesh e in Italia — finalizzata a commettere delitti di riduzione in schiavitù e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nonché di avere commesso in Libia i delitti di riduzione in schiavitù, di tortura e di sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni di un connazionale. Le indagini sono state avviate lo scorso mese di luglio dopo che l’indagato era stato fermato perché indiziato di delitto di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In particolare, una delle vittime, dopo un periodo di prigionia durato diversi mesi in Libia (dove aveva subito torture disumane e degradanti) era stato liberato solo a seguito del pagamento da parte dei familiari, residenti in Bangladesh, di significativi importi di denaro. A quel punto era riuscito ad arrivare in Italia e in particolare all’hotspot di Pozzallo. Qui avrebbe incontrato il venticinquenne, a sua volta giunto in Italia a seguito di un diverso sbarco, il quale sarebbe stato uno dei suoi peggiori torturatori e carcerieri in Libia.

Lo straniero, terrorizzato dall’incontro e dopo aver subito nuove richieste di denaro da parte del connazionale, ha trovato il coraggio di rivolgersi ai responsabili dell’hotspot e, quindi, di sporgere denuncia per quanto subito durante il periodo di prigionia in Libia. L’analisi del cellulare sequestrato all’indagato al momento del fermo ha permesso di appurare l’esistenza di un pericoloso network criminale di stanza in Libia, con basi operative anche in Bangladesh e in Italia, dedito alla gestione dei flussi migratori dal Bangladesh alla Libia, sino poi in Italia, e di delineare il ruolo assunto in seno allo stesso dall’indagato, il quale (in quanto uomo di fiducia dei vertici del sodalizio) secondo gli inquirenti avrebbe svolto i compiti di aguzzino, torturatore e sequestratore.

Avrebbe, inoltre, intrattenuto rapporti con i familiari delle vittime al fine di costringerli a versare in favore del sodalizio ingenti somme di denaro, mostrando videochiamate con scene di torture di inumana violenza ai danni dei familiari ed avrebbe quindi chiesto loro, quale prezzo per ottenere la liberazione dei loro cari, il pagamento di ingenti somme di denaro. Al momento della denuncia, sul corpo della persona offesa erano ancora ben visibili numerose cicatrici, segni indelebili delle torture patite.