Fa tappa al The Globe di Ragusa il “Saracena Tour” di Cesare Basile. Quella di oggi 8 novembre è la seconda di una serie di date che porteranno il cantautore catanese a presentare il suo ultimo lavoro, Saracena, in giro per l’Italia, accompagnato dai musicisti Massimo Ferrarotto e Marco Giambrone.
Con alle spalle una carriera ormai trentennale – il suo album d’esordio, La pelle, usciva esattamente nel 1984 –, l’artista siciliano si conferma tra i cantautori più intensi e originali della sua generazione. Vincitore di due Premi Tenco (uno rifiutato in segno di protesta politica), ha collaborato con diversi nomi della scena italiana e internazionale tra cui John Bonnar, John Parish, Hugo Race, Nada Malanima, Manuel Agnelli e Alfio Antico. Dal 2013 la sua ricerca è rivolta alla musica popolare afro-mediterranea declinata letterariamente attraverso l’uso del siciliano.
Saracena (Viceversa Records, 2024) è un disco dedicato al dramma palestinese e alle diaspore degli ultimi. Scuro e introspettivo, esistenziale e insieme sperimentale, a tratti crudo, l’intero lavoro – otto brani per una durata complessiva di circa 29 minuti – è intriso di riferimenti poetici alti.
Così Basile racconta il suo dodicesimo album: “Saracena è canzone d’esilio e ‘spartenza’. Canzone di separazione dall’infanzia, dai luoghi, dalla lingua. Canzone di pietre e nomi nascosti, terra calpestata dalle armate degli invasori, case abbandonate, rabbia che esplode il cuore e la carne. Una lunga canzone scritta e registrata di getto nell’arco di due settimane masticando le parole del poeta palestinese Mahmoud Darwish, quelle degli arabi di Sicilia condannati alla nostalgia come Abd al-Jabbar Ibn Hamdis, i versi di Santo Calì, le strofe popolari dell’abbandono di un’isola saracena negli intervalli delle melodie dei suoi Cantaturi. Questi semi pestati insieme nel mortaio della Nakba per raccontare il dolore degli ulivi di Palestina”.
Un’opera dunque capace di generare una riflessione sul presente a partire dal passato, di guardare la tragedia diritto negli occhi senza mai concedere nulla alla retorica. Un disco coraggioso, in cui il linguaggio e l’uso di soluzioni sperimentali si mescolano a sonorità orientali e uniscono in un unico canto di dolore la Sicilia e la Palestina, entrambe terre di subalterni, di ultimi, di rottami della storia.
Stasera alle 21.30 in via Spampinato 12. Ingresso riservato ai soci Arci.