Era la metà degli anni Novanta quando a Ragusa, e più esattamente a Ibla – da una stanza in affitto a pianterreno in un vicolo dal nome profetico, Chiasso Oscuro -, prese vita il progetto musicale de La Casbah, band che chiunque sia stato giovane a quel tempo ricorda con nostalgia venata di meraviglia.
A fondarla tre dei suoi membri più longevi, Giambattista Rosso, Stefano Meli e Vincent Migliorisi, ai quali successivamente si unirono Carlo Natoli e Ugo Rosso. In mezzo e intorno, una costellazione di collaborazioni e sodalizi artistici più o meno duraturi che nel momento di massimo splendore avrebbe raggiunto i dieci elementi sul palco.
La prima audiocassetta fu una demo rigorosamente registrata in casa come si usava all’epoca, quando la creatività era all’apice ma i soldi non c’erano mai. In copertina un’illustrazione con figure di musicisti dal tratto orientaleggiante, la stessa illustrazione scelta, e forse non è un caso, per annunciare il nuovo ritorno de La Casbah in questa estate 2023.
La storia fulminante della band si srotola inarrestabile lungo un decennio, fino allo scioglimento nel 2004. Due dischi e centinaia di concerti memorabili, le tournée su e giù per la Penisola con alcune puntate in festival d’Oltralpe, una notorietà che travalica i confini locali e raggiunge la consacrazione quando il pezzo forse più famoso, Malatu d’amuri, entra a far parte della colonna sonora dei Movimenti che proprio in quegli anni si riappropriavano delle strade e delle piazze in Italia e nel mondo. Già, perché La Casbah non è stata soltanto un fenomeno originale, se non unico nel suo genere, sulla scena musicale underground di un decennio incandescente, ma anche un sussulto di rivolta che dall’estremo Sud d’Europa si propagava sulle stesse frequenze che attraversavano il resto del continente. I testi scritti da Giambattista Rosso erano, e sono, piccoli manifesti poetico-politici in forma di canzone, ancora oggi attualissimi. Le migrazioni, la Palestina, gli orrori delle guerre, le atrocità compiute in nome delle religioni: su tutto questo e molto altro il grido anarchico del gruppo si levava su una patchanka di sonorità contaminate, dal punk al dub, dal rock ai ritmi in levare.
Domani 18 agosto, ai Giardini Iblei, la band si riunisce per la terza volta (la prima reunion è stata nel 2019 in occasione dei 25 anni di Ibla Buskers, la seconda nell’estate 2020) con un nuovo progetto, La Casbah Dub Foundation, una rivisitazione del repertorio nella quale l’elettronica di Carlo Natoli incontra gli strumenti live di Stefano Meli (chitarra elettrica), Vincent Migliorisi (basso e strumenti acustici), Ugo Rosso (percussioni), nonché l’inconfondibile voce di Giambattista Rosso.
Un ritorno alle origini, un recupero di quella resistenza ipnotica che nel dub affonda le proprie radici, per nulla invecchiata dal tempo, semmai ispessita dalla maturità artistica e personale che le diverse esperienze successive hanno conferito alla fisionomia individuale di ciascuno dei membri storici del gruppo. Un’occasione per ricordare e per ricordarsi, per tenere viva la traccia lasciata da questa cometa tanto luminosa quanto, inevitabilmente, caduca, per riconoscersi come parte della stessa tribù, quella che sul finire del secolo scorso aveva ancora qualcosa da dire sul mondo, e doveva essere qualcosa di molto sensato se a distanza di oltre vent’anni suona ancora così bene.
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