Correvano gli anni Novanta e in Italia, o almeno in una sua nicchia, impazzava il fenomeno Luther Blissett, pseudonimo collettivo usato da attivisti, artisti e perfomer impegnati in quella che allora si chiamava “comunication guerrilla”, vale a dire campagne di comunicazione che attraverso la diffusione di fake news, la creazione di finti casi giornalistici e attività varie di sabotaggio culturale si facevano beffe del sistema mass-mediatico, mettendone a nudo tutte le falle. Memorabile, ancora oggi, il brutto tiro a “Chi l’ha visto?”, che per poco non mandò in onda una puntata già bell’e confezionata su un fantomatico body artist inglese, Harry Kipper, in realtà mai esistito.
Quello di Luther Blissett fu sì un fenomeno comunicativo, ma non effimero né immateriale, tant’è che ci restano diverse pubblicazioni a stampa, l’ultima delle quali risale al 1999 ed è nientemeno che uno dei migliori romanzi storici postmoderni del secolo scorso, Q, diventato un long-seller e sul quale per un po’ di tempo circolò la voce che fosse opera di Umberto Eco. Per dire.
Con il candidato artificiale alle prossime amministrative ragusane Gian Piero Trovato, in effetti, Luther Blissett non ha in comune quasi niente, se non l’intenzione di lanciare una provocazione e accendere l’attenzione sulla comunicazione, in questo caso social e a tema elettorale.
Apparso qualche giorno fa su Facebook con una pagina nuova di zecca, Trovato si è presentato ai cittadini di Ragusa come candidato sindaco alle prossime amministrative. Con un linguaggio semplice, diretto e fin troppo lineare, ha tracciato i tre pilastri del suo programma politico e annunciato il claim della sua campagna: “Uniamo le forze per una Ragusa migliore”.
Che si trattasse di un profilo fake si intuiva sin dal primo istante, salvo poi rivelarsi qualcosa di un po’ più interessante di una semplice burla: un esperimento di scrittura artificiale applicata alla comunicazione politica. Niente di impressionante, in verità, ma comunque uno spunto per articolare una breve riflessione sull’intelligenza artificiale e sulla politica.
La prima, l’intelligenza artificiale (IA), è ormai alla portata di tutti, o almeno di tutti coloro in possesso di una sufficiente alfabetizzazione digitale. Da quando è diventata largamente accessibile tramite app gratuite scaricabili sui propri dispositivi, molti la usano per produrre testi di vari natura, immagini, musica e tanto altro.
Semplificando di molto, le caratteristiche distintive delle IA di ultima generazione sono la capacità di apprendimento attraverso reti neurali artificiali e quella di assumere decisioni adeguate al contesto. Qualità che stanno sollevando sia entusiasmi sia preoccupazioni e sollecitando un dibattito aperto intorno ai limiti, alle opportunità e ai rischi che la diffusione delle IA e l’ampliamento delle loro possibilità comporterebbero. Solo per citare alcuni dei temi più discussi: in/distinguibilità delle opere prodotte da una IA e da un essere umano, diritto d’autore, plagio.
Come già avvenuto in altre epoche con l’avvento di altre tecnologie, ad esempio la fotografia o la grafica digitale, il sistema si destabilizza, le sue fondamenta epistemologiche scricchiolano, le sue certezze etiche traballano, fino a quando non vengono assimilate e disciplinate e non entrano a far parte della comune borsa degli attrezzi creativi e culturali.
Difficile dire se e quando ciò accadrà per le nuove tecnologie di intelligenza artificiale, o se invece, in uno scenario alla Blade Runner, finiremo per essere indistinguibili dai nostri replicanti artificiali.
Per quanto riguarda il secondo oggetto di riflessione, la politica, la domanda che l’esperimento Trovato sembra porre è: può una IA simulare un messaggio politico credibile e riconoscibile se adeguatamente addestrata sui cosiddetti training data? In altri termini, cosa rende distinguibile il nostro candidato artificiale da un candidato naturale?
La “candidatura” Trovato è stata troppo breve per darci indicazioni significative, risolvendosi alla fine in poco più che una boutade. Ma già così non è stato difficile individuare alcuni sintomi di artificialità come l’eccessiva linearità del linguaggio e semplificazione dei contenuti, un certo schematismo, una miscellanea di “parole giuste” prese dal politichese e spalmate qua e là, e soprattutto una asetticità un po’ leziosa.
A differenza di una IA, l’essere umano, per indole animale politico, tende a incasinarsi la vita, ad affrontare temi difficili e controversi, a metterci dentro non solo i dati a sua disposizione ma anche un’interpretazione personale, sentimenti ed emozioni quanto basta, e infine a risultare spesso sopra o sotto le righe, quasi mai al livello encefalogramma piatto.
Le persone in carne, ossa e neuroni organici di solito le riconosciamo proprio dalle sbavature, dall’impronta individuale, dalla passione che le trasporta e che sa trasportare, dall’intuito, dall’immaginazione, dall’elemento di novità che sanno introdurre nell’ordine del discorso.
Tutto ciò ha anche un indubbio svantaggio, e cioè il rischio di incorrere in sconcezze quali la recentissima dichiarazione di Ignazio La Russa sul dispiacere che proverebbe se avesse un figlio gay, giusto per restare nell’attualità.
D’altra parte, a ben riflettere, forse il vero pericolo che corriamo non è che l’intelligenza artificiale si sviluppi fino a diventare davvero indistinguibile da quella umana, e quindi capace anche di quel lato critico, emozionale e dirompente che la connota, bensì proprio il contrario: e cioè che l’intelligenza umana si standardizzi e banalizzi e appiattisca e “ingentilisca” nei toni e nei contenuti fino a perdere mordente, divenendo sempre più impersonale, più stucchevole e più simile a quella di un modello di IA, come purtroppo avviene già adesso con certa comunicazione politica che sembra generata da un’app sul telefono anziché da qualcuno che pensa, sente e scrive dal vivo.
P.S. questo pezzo non è stato generato da una IA, altrimenti avrebbe avuto una struttura e uno sviluppo molto più coerenti con il titolo, non si sarebbe dilungato su citazioni marginali come quelle introduttive e probabilmente non conterrebbe una serie di considerazioni personali assolutamente opinabili.