L’assalto al cielo e quello alla memoria collettiva. Il diario politico delle BR

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Foto di Alessandra Meli

Può forse apparire un’operazione fuori tempo massimo quella di pubblicare (e leggere) oggi un documento storico che si autodichiara, senza esitazioni, “diario politico” delle Brigate Rosse, un testo redatto dai prigionieri politici all’interno delle carceri speciali e diffuso tra i militanti nel lontano 1986. Eppure è proprio quello che ha fatto la casa editrice romana DeriveApprodi con il libro Brigate Rosse: un diario politico. Riflessioni sull’assalto al cielo, curato dalla ricercatrice Silvia De Bernardinis e presentato ieri a The Globe di Ragusa da Michele Mililli dell’associazione Controvento insieme alla curatrice.

In effetti, nelle stesse settimane in cui al cinema riscuote ampi consensi il film di Marco Bellocchio Esterno notte, secondo lavoro del regista dedicato al sequestro di Aldo Moro, non appare poi del tutto anacronistico riprendere in mano una storia che appartiene all’Italia tutta, e non soltanto a una sua parte politica, e riesaminarla con uno sguardo che viene dall’interno, né agiografico né complottista come molte delle letture che si sono succedute in questi quarant’anni – se come punto di riferimento di questa storia vogliamo assumere l’anno della cosiddetta “ritirata strategica”, il 1982.

Il documento ripercorre infatti la traiettoria politica brigatista dalle sue origini, nel biennio 1968-69, fino al 1982, quando, dopo che proprio il caso Moro aveva determinato un cambio di passo nella risposta repressiva dello Stato e un conseguente ripiegamento dei movimenti di classe in una fase resistenziale, all’interno delle BR avviene una profonda spaccatura e si affaccia inesorabile la questione della sconfitta.

Non si tratta di un documento programmatico, finalizzato cioè a sostenere una tesi politica e orientare dall’interno delle carceri l’azione dei militanti BR ancora in attività all’esterno. Si tratta piuttosto di un riattraversamento critico della propria storia per mezzo di un ampio dibattito svoltosi tra i prigionieri politici dal 1983 al 1986. Un autoesame, dunque, delle intuizioni, delle faglie, delle aporie teorico-pratiche e dei risultati teso a fare chiarezza tra spaccature, arresti, pentimenti e dissociazioni che caratterizzano gli ultimi anni dell’organizzazione.

Al contempo, il testo volge lo sguardo all’esterno, prendendo in esame il contesto economico nazionale e internazionale, i diversi governi italiani che si succedono tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta, nonché il ruolo dei partiti politici, il movimento di classe, la sinistra rivoluzionaria, la guerriglia e l’antiguerriglia, cioè tutti gli attori che sono stati parte attiva dello scontro sociale degli anni Settanta.

Una storia oggi archiviata in un luogo della memoria che si preferisce non frequentare spesso, o immaginare riservato a una cerchia ristretta di persone che ne furono protagoniste. Ma quello che emerge da questa e dalle altre ricostruzioni storiche non partigiane in un senso o nell’altro è quanto quella storia, che ha interessato migliaia di persone per circa quindici anni, sia invece stata collettivamente vissuta, partecipata e agita molto oltre i ranghi ristretti della lotta armata. E soprattutto sia intrecciata inestricabilmente con le complesse e spesso ancora non chiare vicende che attraversarono tutti gli ambiti della società italiana di quegli anni, nessuno escluso.

Leggere oggi un documento come quello pubblicato in questo libro, con il prezioso corredo di note della curatrice che ne chiariscono la comprensione, può allora essere un buon antidoto al virus odierno della rivisitazione censoria delle lotte sociali del nostro comune passato, che tende a falsificarne i termini, ridurne la portata e svuotarle di significato. Un antidoto utile per chi ne ha memoria diretta e più ancora per chi quella memoria deve ricostruirsela a posteriori attraverso il confronto delle fonti e delle interpretazioni, evitando di cadere nella trappola delle mistificazioni.