Nazionale di calcio e oratori in crisi, le radici sono comuni

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Condividiamo una riflessione del collega Alessandro Bongiorno riportata sul giornale della diocesi Insieme sul calcio, in crisi dalla Nazionale all’Oratorio.

“Quando nel 1982 l’Italia è diventata campione del mondo avevo 14 anni. Con i miei amici giocavamo a calcio in strada, ricavando improbabili campetti tra rovi e gramigna, nei cortili dei salesiani e della Sacra Famiglia. Si giocava dalla fine dei compiti sino a quando faceva buio. Giocavamo tutti. Bravi, meno bravi, alti, bassi, smilzi e grassottelli. Ai Salesiani o alla Sacra famiglia due squadre giocavano e altre (la terza, la quarta, la quinta squadra) attendevano il loro turno. Ai Gesuiti i tornei di terza e quarta fascia del Csi coinvolgevano centinaia di ragazzi. La Santa Maria era una realtà ben consolidata. Nel “ciano” di San Giovanni si inseguiva il pallone.

Oggi l’Italia farà per la seconda volta consecutiva da spettatrice ai Mondiali. In strada ci sono solo auto, al posto dei campetti improvvisati sono sorti palazzi e villette, nei cortili degli oratori il silenzio è quasi spettrale, la bandiera del Csi non sventola più sui campi di calcio. Chi può manda i figli alla scuola calcio (ce ne sono di ottime con istruttori qualificati) dove i ragazzi giocano sì, ma due ore la settimana. Il resto del tempo lo dedicano alla Playstation (giocando il calcio virtuale di Fifa) o, i più grandetti, al Fantacalcio.

La pandemia ha reso ancora più evidenti le difficoltà nelle quali da tempo si trovavano i comunque pochi oratori annessi alle nostre chiese. Campetti senza nessuno che vi corre, silenzio rotto solo dal passaggio delle auto. Mancano i ragazzi ma mancano anche gli animatori e gli educatori. Molti giovani dopo il diploma vanno a studiare fuori o a cercare lavoro lontano da Ragusa. E così nelle nostre parrocchie, che già soffrono per la partecipazione dei giovani, si crea un buco generazionale quasi impossibile da colmare. Il parroco, che nella maggior parte dei casi gestisce la parrocchia da solo, ha tanti impegni che difficilmente potrà trovare il tempo per giocare a calcio insieme ai suoi ragazzi. Ammesso che ne abbia piacere. Quanti dei nostri sacerdoti hanno maturato la loro vocazione o l’hanno vista crescere giocando a calcio in oratorio? Non voglio credere nessuno ma sicuramente non sono molti.

La crisi della Nazionale e la crisi (speriamo non l’agonia) degli oratori hanno probabilmente radici comuni. La prima è un problema di carattere sportivo, l’altra necessita di essere esaminata da un punto di vista pastorale. Come riportare il tempo libero dei ragazzi in parrocchia? Quali opportunità offrire? Occorrerà piegarsi alla Playstation o si può ancora far divertire i ragazzi con il tiro alla fune? Troveremo educatori, testimoni, adulti significativi per accompagnare la crescita dei più giovani? Lo stile degli incontri e delle riunioni è l’unico possibile?

Sono interrogativi che sollecitano delle risposte. Tra le poche certezze vi è quella dello spreco di questi spazi. Ridare entusiasmo agli oratori (magari facendo in modo che ogni parrocchia abbia un suo spazio idoneo) è una delle priorità post-pandemia.

Anche la Nazionale ci ringrazierà”.