Al Sud sempre meno lavoro dopo la pandemia

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La pandemia ha indebolito ancora di più il Sud sotto il profilo occupazionale. Nel biennio 2019-2021 c’è stata una perdita di 125mila occupati, solo in parte attenuata dal boom del settore edile: l’unico a registrare nel Mezzogiorno un saldo positivo (+60mila occupati). È quanto emerge dal dossier della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: “Il lavoro nel Mezzogiorno tra pandemia e fragilità strutturali”, che sarà presentato domani a Matera, presso la Cava del Sole, nel corso del convegno “Lavoro, legalità e sviluppo del Mezzogiorno“. L’indagine, la prima del dopo pandemia con dati Istat regionali e provinciali aggiornati al 2021, evidenzia le criticità di un’economia e di un sistema lavoro che non riescono a invertire la loro parabola declinante. Oltre alla contrazione occupazionale, il report si concentra sugli altri aspetti che contribuiscono al deterioramento delle condizioni di lavoro al Sud: uno fra tutti la precarizzazione del lavoro. Nel 2021 su 10 contratti attivati, ben 4 sono temporanei e part time. Ad incidere sulla “questione meridionale” anche l’ampliamento del divario di genere e la crescita del sentimento di disaffezione e allontanamento dal lavoro da parte dei giovani.

“L’economia meridionale negli ultimi vent’anni ha visto crescere sempre più il proprio divario rispetto al resto del Paese”, afferma Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Basti pensare a Decontribuzione Sud, utilizzata dalle aziende per il 57,3% o al Reddito di Cittadinanza, che di fatto non hanno agevolato l’inserimento lavorativo nel lungo periodo. In tale contesto, qualsiasi politica occupazionale rischia di avere il fiato corto, in assenza di interventi che permettano un vero rilancio del Mezzogiorno”, ha concluso.