Un lungo post, una riflessione che è anche una denuncia pubblica. È quello di We Care, “un’associazione fatta da persone provenienti dalla Diocesi di Noto a cui stanno a cuore l’integrazione, l’accoglienza, l’umanità”. Parla di una “pericolosa deriva” commentando una storia che riguarda Modica. Condividiamo il post integralmente:
»Segnaliamo, come rete di associazioni e semplici cittadini, senza volerci appropriare egoisticamente di vicende che riguardano tutta le comunità, una pericolosa deriva che da un pò di tempo interessa anche la nostra comunità cittadina e che negli ultimi tempi sta assumendo sempre più un carattere patologico.
Uno dei volontari di una delle associazioni che operano nel sociale ci racconta questo accadimento:
“Da tempo – ci dice – stiamo cercando una sistemazione alloggiativa per un amico, originario del Gambia, ma in Italia da 6 anni, che ha deciso di fare quel grande passo in avanti verso l’autonomia, riuscendo ormai da tempo a percepire uno stipendio stabile.
Dopo vari tentativi spesso andati a vuoto perchè le case risultanti in locazione, dopo la nostra visita, sono divenute, subito dopo, magicamente indisponibili o già locate, ci siamo imbattuti in una vicenda molto triste. All’ultimo appuntamento ottenuto per visionare una casa in locazione, il proprietario di questa, appena vistoci e saputo che la ricerca interessava il nostro amico del Gambia, ci ha subito comunicato la palese indisponibilità ad iniziare la visita, in quanto, per scelta personale, condivisa anche dal fratello, la casa è da locare “solo ai locali”.
Alla nostra risposta “ma il ragazzo vive qui da molti anni ormai, quindi in realtà volete solo persone italiane”, il possibile locatore ha risposto “no”, anche non italiani, ma devono essere locali” e poi tentando si spiegare la bontà della sua posizione, “perchè abbiamo avuto brutte esperienze, mi dispiace”.
Con garbo, ma con il dovere di portare in alto i valori della verità e della giustizia, abbiamo spiegato prima che l’unico senso che potevamo ricavare dalle sue risposte era quello che il nostro amico non poteva ottenere in locazione la casa semplicemente perchè di carnagione differente rispetto alla nostra. Al massimo, perchè, seppur non italiano (quindi, facendo fede alle parole del possibile locatore, non sarebbe stato un problema) era di origini africane. Sempre per rispetto dei suddetti valori abbiamo dovuto spiegare che, più che essere dispiaciuto lui per noi, eravamo noi ad essere dispiaciuti per lui.
Certo, gli avremmo potuto spiegare che il nostro amico ha regolare permesso di soggiorno, ha quasi completato il ciclo di studi della scuola secondaria di II grado, sa parlare diverse lingue, lavora regolarmente e con un buon stipendio, che già ora vive in una casa e non in un centro di accoglienza, che ha preso la patente B e che fa anche volontariato. Oltre che ricordargli che “buona educazione” e “buone maniere” avrebbero suggerito almeno di far iniziare e completare la visita per poi, in un secondo momento, anche con una fantomatica scusa, dichiararci l’indisponibilità a concedere la casa in locazione.
Ma non avrebbe capito, ne siamo convinti, sperando di non peccare di presunzione”.
Il riportare questa storia, cui seguirà, nel limite delle nostre forze, una costante campagna di sensibilizzazione, vuole testimoniare l’incoerenza dei nostri “no” alle guerre, “no” alle ingiustizie, “no” al razzismo.
Questi episodi, che non rappresentano più un’eccezione, bensì la regola (Tanti altri sono gli episodi di tal genere a cui abbiamo assistito e assistiamo ogni giorno), macchiano indelebilmente le carta d’identità della nostra comunità. Non si può essere contro la guerra solo se chi è bombardato assomiglia ai nostri figli. Non si può essere solidali a intermittenza.
Questi episodi continuano a registrarsi sempre più con maggior frequenza. Come se a creare disagi fossero solo i ragazzi provenienti da altre terre, altre culture o semplicemente “di colore”.
Perchè non interessarsi, quanto meno all’inizio, della storia personale del ragazzo? Perchè non considerare minimamente l’interessamento di persone “locali” che si mettono a disposizione per garantire il rispetto, da ambedue le parti, dei rapporti sociali, nel caso di specie “locatore-locatario”?
La prima garanzia che una persona può ottenere, anche per tutelare esclusivamente i propri interessi economici, non è il colore della pelle, ma la vita vera praticata, con impegno, giorno dopo giorno.
Ma garanzia sono anche le persone che, con tanta forza di volontà, supportano chi giorno dopo giorno, con l’aiuto di pochi, continua ad emergere legalmente e con onestà nella società.
Una cosa è certa: quel signore ha esercitato un proprio diritto. Tuttavia, partendo dai termini e continuando nei modi, ha ferito una comunità intera.
Speriamo, vivamente, dal profondo del cuore, che su questo tema possa aprirsi una profonda riflessione, seria e sincera.
Per concludere, sempre il nostro volontario:
“Tanto facile è stato spiegare, al nostro amico, il perchè quella persona si è comportata così, tanto difficile è stato spiegargli che codesta persona rappresenta un’eccezione”.
Noi continueremo a lavorare per costruire speranze. Seriamente, però, chiediamo ad ognuno di fare la propria parte, andando oltre gli sterili pregiudizi. Testando e tastando la sostanza dei rapporti, non l’apparenza. Un passo avanti lo si fa anche solo dando la possibilità di dimostrare, anche temporaneamente, la rettitudine morale di un ragazzo.
Solo costruendo speranze per “tutti”, e non per solo per “alcuni”, potremo costruire certezze per “tutti noi””».