Guerra, sanzioni e inflazione. E la ripresa resta un miraggio

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Il 2022 doveva segnare l’anno zero dopo il Covid, la fine delle limitazioni imposte negli ultimi due anni e il progressivo ritorno alla normalità tanto attesa e decantata. E invece la guerra in Ucraina ci riporta ai giorni bui del 2020 con conseguenze in ambito economico che si preannunciano davvero gravose soprattutto nel medio-lungo periodo.

Il conflitto ha senza dubbio cambiato il panorama economico e la stessa BCE ieri ha annunciato di volere lasciare i tassi di interesse invariati nonostante l’annuncio di poche settimane fa intendesse aumentarli. Ma, come abbiamo visto, la storia recente viene aggiornata in ogni momento talchè la stessa Banca Centrale si è riservata di modificare tutte le misure a disposizione in base all’evolversi degli eventi.

La Borsa sta precipitosamente erodendo i guadagni conseguiti nel 2021, una discesa verso il basso che non vede al momento spiragli per una risalita. Troppi sono gli indicatori che spaventano gli investitori, spinti a uscire dai titoli europei come mai prima d’ora. E la pandemia sembra già un lontano ricordo.

In questa fase dell’attuale ciclo congiunturale, l’inflazione (galoppante) riveste il ruolo di antagonista principale per la crescita dei risparmi di famiglie e imprese. Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, prevede scenari drammatici in Europa. La guerra in Ucraina sta già peggiorando la crisi energetica mandando in tilt i prezzi di materie prime e gas. Secondo una stima del colosso finanziario americano, la produzione economica dell’Eurozona si ridurrà a metà anno con l’inflazione che raggiungerà un picco del 8% a luglio. Una batosta che stiamo vivendo in questi giorni con i prezzi della benzina, del diesel e del metano schizzati vertiginosamente verso livelli mai visti prima.

L’uscita dalla pandemia aveva posto le basi per un nuovo ciclo economico contraddistinto dall’abbandono graduale delle risorse non rinnovabili tradizionali a favore di nuove tecnologie che mettessero al centro la sostenibilità e la conservazione del nostro pianeta per le future generazioni. Tutto questo sembra ad oggi una chimera. Draghi sta caldeggiando l’ipotesi di riaprire le centrali a carbone e agli inizi di febbraio la Commissione Europea ha inserito il gas naturale e il nucleare come fonti di energia sostenibili di cui avremo bisogno per passare ad un’economia circolare (ovvero un modello di economia che allunga il più possibile il ciclo di vita di un prodotto riducendone al minimo eventuali scarti). Scelta pragmatica, condizionata dal fatto che le energie rinnovabili non sono al momento sufficienti per il fabbisogno europeo.

Una morte annunciata del Green Deal? Una domanda che non può avere una risposta immediata ma che non lascia presagire nulla di buono nel raggiungimento degli obiettivi posti dal PNRR nei prossimi anni.