I miei zii si erano tutti laureati a fine guerra in una Messina bombardata e sfinita, tornati dai paesi in cui erano stati sfollati, ritrovandovi polvere e palazzi distrutti, la stazione irriconoscibile. E subito avevano trovato lavoro a Milano e avevano lasciato i genitori in una casa dai balconi ancora divelti. E dimenticarono
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Erano tornati a Messina, la polvere delle strade, le inferriate contorte, i balconi divelti. La stazione bombardata, il porto con i suoi colori. E passeggiavano col sorriso ritrovato. Con la guerra alle spalle ma vicina, ma dentro, le notti diverse nella casa che avevano abbandonato. Tutto sarebbe avvenuto, la vita che doveva svolgersi, l’università riaperta, i matrimoni e il trasferimento in altre città. La libertà
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La guerra si era portata via non solo le cornici con le foto ritoccate, non solo la carta a fiorellini che ora pendeva nel corridoio a brandelli, non solo i loro ricordi ma anche un pezzo della loro vita spensierata, del loro umore gaio, la voglia di andare avanti e i soldi pure
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Mia madre se ascoltava una canzone del periodo della guerra cominciava a sognare, le ritornava il bello e il brutto, i vestitelli a fiori, i bigodini di ferro in testa, la bicicletta da uomo per andare alla stazione che sarebbe stata bombardata, al porto distrutto e alle inferriate dei balconi divelti, la casa sulla spiaggia da sfollati, il vento fortissimo nelle mattine, il perduto e il ritrovato, le note di un pianoforte e le amiche accovacciate nei canneti, le incursioni mentre stavano in montagna sotto alberi di nocciole, il battito dei cuori di tutti, l’università ritrovata in città e l’uomo che avrebbe sposato, incontrato per le vie polverose e irriconoscibili di una Messina senza più volto
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Mia mamma, la nonna gli zii. In quegli anni di guerra – da sfollati in un paese sul mar Tirreno – le persone avevano una postura diversa dalla nostra di oggi. Gli uomini si appoggiavano morbidi e dinoccolati, le loro mani in tasca, con l’aria di chi sa tutto e ha visto tanto. Con il tempo che non scalfiva. Le donne avevano sorrisi aperti, fiduciose per il dopo, diritte nelle spalle e negli sguardi. Erano loro. Avrebbero visto e vissuto ancora molto
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Pensavo che una guerra ci avrebbe distrutto. Mia madre cantava e metteva una crema sul viso. Il suo urlo nei sogni, negli incubi notturni, dopo giornate di fuoco. Eravamo questi. Nel bello dei luoghi, nella sua follia. Nelle sue preghiere. Nelle mie, disperate. Noi
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Avevo paura della guerra da bambina. Pensavo ai primi razzi nello spazio, alle eclissi di sole. Piangevo con la fronte incollata ai vetri della finestra. Sentivo freddo nelle gambe nude, la stufa accesa col pigiama vicino a riscaldare. Temevo Ungaretti che recitava in TV. Seguivo il maestro Manzi e il gatto si attorcigliava sul mio letto. Ero questa e molto altro. Come tanti, come tutti
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