Un coinvolgimento ricco di emozioni grazie ad una straordinaria interpretazione. Una prova d’attore, da grande attore, per il bravissimo Giuseppe Arezzi, della Compagnia G.o.D.o.T. di Ragusa, protagonista nei giorni scorsi dello spettacolo “Tommy”, il monologo di Giuseppe Manfridi. Uno spettacolo che ha saputo coinvolgere gli spettatori in sala, grazie ad una regia dettagliatamente studiata da Vittorio Bonaccorso, e a una interpretazione da brividi. Giuseppe Arezzi fa parte della compagnia teatrale da quando era bambino, calcando il palco, durante la sua costante crescita artistica, con una padronanza e una presenza scenica che lo ha portato a cimentarsi in prove sempre più coinvolgenti e impegnative. “Tommy” è un giovane come potrebbero essere tanti, ha molti dubbi e poche certezze, combatte nell’eterna lotta tra luce e oscurità, somatizza le sue paure e uno starnuto nervoso gli ricorda perennemente i suoi limiti. Ma ha un suo posto “sicuro”, una tana, uno sgabuzzino in cui lo starnuto non entra, in cui può essere sincero, in cui può aprirsi, può raccontare la sua storia. Un monologo che cattura e trasporta.
Sono state spese parole splendide per questo spettacolo unico e intenso, i lunghi applausi e le critiche positive hanno riempito i cuori dei direttori artistici Vittorio Bonaccorso e Federica Bisegna.
Anche l’autore Giuseppe Manfridi, drammaturgo italiano contemporanei tra i più attivi e apprezzati, ha voluto lasciare un sentito messaggio, rivolto al bravo Arezzi: “Giuseppe caro, sono fortemente impressionato da queste analisi così coinvolte, emozionate e lucide al tempo stesso. Molto dovute, senz’altro, alla tua formidabile resa e in generale alla riuscita qualità dello spettacolo. Ma fammi dire che sono molto commosso. È come se adesso dovessi trasmettere tanti apprezzamenti al vero autore del testo. Un ragazzo di 24 anni che lo scrisse tanto ma tanto tempo fa. Questa la mia età quando tra una notte e un giorno “nacque” Tommy, e di quella mia prima stesura non ho mai cambiato nemmeno una parola. Sicché, stavolta, il grazie che ti arriva è tutto da parte sua. E da me, che ormai potrei essere il papà di quel ragazzo lì, un abbraccio”.
Anche il docente Gino Carbonaro è voluto intervenire alla fine di una rappresentazione, affermando che “I livelli raggiunti sono enormi, immensi, si è creata una agorà, un punto di convergenza e redistribuzione culturale. Un monologo che solitamente è qualcosa di implosivo e che qui diventa esplosivo. Il protagonista ha vissuto il dramma in maniera così integrale da dimenticare che aveva un pubblico che lo osservava”.
Tante altre bellissime e significative testimonianze e recensioni sono state lasciate sui canali social della compagnia. Il critico Roberto Farruggio parla di “uno sfavillante Giuseppe Arezzi diretto dallo scrupoloso, attento e quasi silente (e per questo ancora più bravo) Vittorio Bonaccorso. Tommy si pone le domande e si dà delle risposte, magari le cambia e/o le adegua in base a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. E tutto questo è ben visibile nella caoticamente ordinata danza che Tommy, interpretato da Giuseppe Arezzi, disegna sul palcoscenico della Maison Godot con le sue mille maschere e pose diverse, con i suoi cambi di ritmo, la sua incalzante autodiagnosi che si sublima nel momento finale degli altrettanto incalzanti starnuti che anche dentro la sua stanza riducono ineluttabilmente l’intervallo in cui si presentano. Buio improvviso, fine. Tutto però reso vivido dalla regia di Bonaccorso che interviene nei circa 60 minuti in cui si svolge la scena quasi chiedendo scusa, in punta di piedi, lasciando al pubblico immaginare se Tommy dialoga con un altro o con se stesso, la sua adolescenza e la sua rabbia, e anche in questi frangenti la musica orienta lo spettatore con un incedere che pare monotono ma in realtà accompagna l’incalzante ed improvviso buio che si sublimerà nell’ultima scena”.
Anche il critico Danilo Amione ha voluto elogiare questa meravigliosa messinscena affermando che con il personaggio, in una stanza quasi vuota, chiusa, si è dinnanzi ad una “premessa polanskiana, pronta ad esplodere, a dirompere definitivamente. Manfridi preferisce risolvere tutto con un dialogo forte, serrato, a volte disperato, forse interiore, forse terapeutico. Comunque, rivelatore di mille rivoli esistenziali, nati all’interno di una famiglia, luogo di origine di tutti noi. Tommy esplicita tutto, ne ha bisogno, e noi siamo con lui, lo comprendiamo, perchè sappiamo, seppure impotenti. La luce è incerta, simbolica di una condizione mentale intermittente. L’incomunicabilità regna sovrana, qualcuno vuole sapere, chiede. Tommy risponde, cerca di rispondere, ci prova. Grida, persino. Rimarrà al punto di partenza, ma qualcuno sarà stato con lui. Per 50 minuti. Noi, gli spettatori, come quei 75 minuti passati con Cleo per le strade di Parigi. Tempo reale, tempo di uno sfogo, metafora di una vita, attraversata alla ricerca di una felicità che ci spetta di diritto. Proprio tu, madre, proprio tu, padre, dice Tommy, voi che siete la ragione del mio essere qui, mi ingabbiate invece di alleviare la mia condizione di naufrago in una spiaggia sulla quale non ho mai chiesto di approdare. L’applauso finale ad uno straordinario Giuseppe Arezzi è la testimonianza che fuori da quelle mura per noi Tommy c’è sempre stato. Un grazie a Vittorio Bonaccorso, costruttore e demolitore di mille metafore sceniche”.