“Ieri sera ho avuto l’onore e la responsabilità di aprire la puntata di Presa diretta sul Sistema Università. E’ stata un’emozione fortissima e immagino che i telespettatori – quei cittadini che hanno seguito le storie narrate di Mala università, truculenti e vergognose, e i dati forniti, impietosi, fondati su studi scientifici che vanno oltre le facce e le vite delle persone, che certificano il declino inesorabile dell’istituzione universitaria in questi ultimi anni, se paragonata ad altri paesi – siano rimasti basiti, interdetti, inorriditi”.
Lo scrive nella propria pagina facebook Giambattista Scirè, il ricercatore vittoriese che dopo anni di battaglie giudiziarie si è visto rinnovare il contratto dall’Università di Catania.
“Sì, è stato un vero pugno nello stomaco, ma purtroppo è la realtà di certi contesti accademici. L’avevo definita “Pulp fiction” in un capitolo del mio libro, ma purtroppo è cruda realtà dei fatti, come ha documentato la splendida inchiesta di Riccardo Iacona (che ringrazio personalmente di cuore) e dei suoi collaboratori, professionisti impeccabili.
“E adesso?”, viene da dire.
Ricostruire dalle macerie. Nel libro Mala università e nel sito di Trasparenza e Merito abbiamo fornito soluzioni e fatto proposte. Sono il decalogo di Tra-Me. Non sono state ascoltate finora da nessuno, né dalla politica (vecchia e nuova), né dalle istituzioni, troppo intente a guardare i consensi politici, a fare propaganda, a non capire l’importanza dell’università come pilastro per il progresso di una società. A queste proposte aggiungerei un’idea che mi è venuta parlando al telefono con un collega: visto che i concorsi pubblici non funzionano e che la cooptazione all’italiana, mascherata da concorso, è assolutamente clientelare e non virtuosa, si potrebbe provare a togliere i fondi ordinari (ffo) agli atenei e darli in forma di bonus (1500/2000 euro) direttamente agli studenti (cioè alle loro famiglie) che potranno scegliere in quale ateneo iscriversi e dove investire la somma. Sarebbe un modo diretto per aumentare la competizione al rialzo, perché in questo modo non si potrebbe barare, visto che sceglierebbe direttamente il cittadino come investire la somma di denaro che lo Stato gli fornisce per l’alta istruzione dei loro figli, senza la mediazione del ministero e della politica. E’ un’idea di università pubblica molto rivoluzionaria, così come quella di modificare la “governance” degli atenei, l’elezione del rettore, prevedendo non più il feudale oligarchico voto ponderato (cioè potere solo agli ordinari e baroni) ma il principio di una testa un voto, in particolare dando più democrazia e più responsabilità a studenti, ricercatori precari, personale tecnico amministrativo. Pensate solamente a come i consigli di amministrazione degli atenei deliberano (praticamente nel 90% dei casi, come documenterà una nostra inchiesta che pubblicheremo presto) all’unanimità decisioni già prese dai gruppi di potere in “camera caritatis”, qualcosa di assolutamente non democratico, senza dibattito, senza confronto nemmeno tra la comunità accademica stessa. E poi i controlli sul mondo universitario devono essere forti, netti, ci deve essere un’azione di osservatorio e monitoraggio fatto da politica, società civile, magistratura, stampa, tutti insieme per migliorare le cose. E’ un’idea di cittadinanza attiva e responsabile, l’unico strumento per ricostruire dalle macerie che questa classe dirigente e questa accademia ha creato nei decenni.
Il cambiamento dell’Università italiana non può che passare da Tra-Me, cioè da quel surplus, da quel terreno fertile di moralità e giustizia che i protagonisti di questa inchiesta, miei colleghi, hanno dimostrato con azioni e fatti, non a parole.
Avanti così, senza sconti e con le idee chiare, verso l’università che vogliamo”.
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