Per scoprire chi si classificherà sul podio di Sanremo, Mahmood e Blanco, Elisa, Morandi o altri, si dovrà attendere sabato notte.
Ma una certezza c’è già: questa settantaduesima edizione del festival l’ha vinta lei, Drusilla Foer.
Finalmente sul palco dell’Ariston, nella terza serata che si è svolta ieri sera, si è assistito a un momento di rara verità. Il monologo di Drusilla è stato semplicemente autentico, lontano dalla spettacolarizzazione volgare che tutto macina purché se ne parli. Quella che ha proposto Foer è stata una riflessione chiara, diretta e senza fronzoli, di quelle che possono realmente spostare, anche soltanto di pochi centimetri, convinzioni e sensibilità, scardinando pregiudizi e stereotipi, lasciando una traccia destinata a restare. Non serve aggiungere quanto la co-conduttrice della serata di ieri sia anche raffinata, colta, intelligente. Bastano le sue parole, che vogliamo riportare testualmente:
“Diversità è una parola che non mi piace, ha un qualcosa di comparativo e una distanza che non mi convince.
Trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano più, vanno cambiati subito.
Ho cercato un termine che potesse sostituire una parola così incompleta. E l’ho trovato: unicità.
Mi piace, è una parola che piace a tutti. Tutti noi pensiamo di essere unici. Facile? Per niente. Bisogna capire di cosa è composta la nostra unicità, di cosa siamo fatti noi.
Delle cose belle. Le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. Ma i talenti vanno allenati, seguiti. Delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità. Delle proprie forze bisogna avere cura.
Non è facilissimo.
Entrare in contatto con la propria unicità è un lavoro pazzesco. Come si fa? Io un modo ce l’avrei. Si prendono per mano tutte le cose che ci abitano.
Quelle belle, quelle che pensiamo essere brutte e si portano in alto. Si sollevano insieme a noi, nella purezza dell’aria, nella libertà del vento, alla luce del sole, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo: ‘Che bellezza, tutte queste cose sono io!’.
Sarà una figata pazzesca. E sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità.
E a quel punto io credo che sarà anche più probabile aprirsi all’unicità dell’altro. Ed uscire da questo stato di conflitto che ci allontana.
Credo di sì. Io sono molto fortunata a essere qui, ma date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo il più grande atto rivoluzionario che si possa fare oggi, che è l’ascolto. Degli altri, delle unicità.
Proviamo ad ascoltarci, a donarci ad altri. Accogliamo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni.
Facciamo scorrere i pensieri in libertà senza pregiudizio, vergogna, e liberiamoci della prigionia dell’immobilità. È orrendo, immaginate se un mondo non ruotasse e fisso stesse. Se tutto il buio fosse nero pesto”.