Dieci anni dopo la scomparsa, il 4 giugno del 2012, di Agata Scuto, la ventiduenne affetta da epilessia e da una menomazione al braccio e alla gamba, è stato arrestato per omicidio aggravato e occultamento del cadavere l’ex compagno della madre, il sessantenne Rosario Palermo. L’arresto è stato eseguito dai carabinieri del Comando provinciale di Catania e della compagnia di Acireale sulla base di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Catania su richiesta della Procura distrettuale etnea. Secondo le accuse della Procura di Catania, Palermo «aveva instaurato un rapporto particolare con la ragazza», «fornito false notizie sui suoi spostamenti» e «cercato di inquinare le prove». Intercettato in auto mentre parlava da solo, l’uomo avrebbe inoltre espresso il timore che il corpo della ragazza, strangolata e bruciata, venisse ritrovato in un casolare di Pachino.
Il caso della scomparsa di Agata Scuto fu affrontato da “Chi l’ha visto?” il 30 settembre del 2020. Le indagini vennero avviate dai carabinieri in quello stesso anno a seguito della segnalazione al programma della Rai sulla presenza del corpo della ragazza nella cantina della casa della madre. Ma le ricerche ebbero esito negativo.
L’indagine ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Rosario Palermo, in ragione sia del rapporto particolare che aveva instaurato con Agata, che non usciva mai da sola né intratteneva rapporti con altre persone, sia delle false notizie fornite agli inquirenti circa i suoi spostamenti il giorno della scomparsa della ragazza. I carabinieri, nel corso delle indagini, hanno accertato che l’uomo non si era recato né a cercare lumache né a raccogliere origano, come aveva invece detto agli investigatori. A fare crescere i sospetti su di lui anche il fatto che Palermo «avrebbe cercato di inquinare le prove, non solo ottenendo da dei suoi conoscenti la conferma del suo falso alibi, ma addirittura predisponendo una complessa messa in scena per simulare delle tracce tali da giustificare la ragione per la quale il giorno della scomparsa di Agata si era gravemente ferito ad una gamba», sostenendo che era stato a causa di una caduta in montagna. «Al fine di inquinare le prove, l’indagato, durante le restrizioni alla libera circolazione dovute alla pandemia, avrebbe cercato di nascondere in una località sull’Etna un tondino di ferro intriso del suo sangue, tondino che avrebbe voluto fare ritrovare il giorno del suo arresto al fine di dimostrare il suo alibi e la sua innocenza». Nel corso delle indagini è stato sequestrato un pezzo di metallo sporco di sangue dal quale potrebbe essere stato isolato il Dna dell’assassino.