Scicli, un canile dedicato a Italo, ma lui era un cane libero

606
Immagine di repertorio

Scicli potrebbe a breve dotarsi di un canile comunale grazie al finanziamento di 325.000 euro ottenuto dal Ministero degli Interni. A darne la notizia questa mattina attraverso la sua pagina Facebook è il primo cittadino Enzo Giannone: “Mi è appena giunta la comunicazione che il Ministero degli Interni ha finanziato la realizzazione di un canile comunale a Scicli, da costruire in contrada Guardiola, per 325.000 euro. Scicli è uno dei 36 comuni italiani che hanno ottenuto finanziamenti. Colgo l’occasione per ringraziare tutte le associazioni e i volontari che in questi anni hanno speso tempo e risorse per la tutela degli animali e spero di poter continuare a contare sulla loro preziosa collaborazione anche nella concretizzazione di questo importante progetto”.

Si tratta di un progetto al quale il sindaco ha lavorato con l’ausilio dell’ufficio tecnico e del comando della polizia municipale e con la partecipazione delle associazioni animaliste. “Ѐ un progetto che ci riempie di orgoglio e che dobbiamo sforzarci di portare a termine per fare un regalo a una città che ha pagato in maniera pesante l’indifferenza che, in passato, le istituzioni hanno avuto nella ‘lotta al randagismo’ – dichiara Resi Iurato, portavoce dell’associazione ‘Gli Amici di Italo’ -. Ricordiamoci sempre che il canile deve essere un luogo di passaggio, dove i cani vengono preparati all’adozione, e non una detenzione a vita. Questa sarà la filosofia che chiederemo di far propria a chi avrà il compito di gestire una struttura così attesa dalla nostra comunità”.

La realizzazione del canile è stata infatti voluta per risolvere una situazione di precarietà che si protrae da anni, durante i quali l’amministrazione ha dovuto affidare il servizio di custodia dei cani randagi a ditte private. Il sindaco Giannone dedica il progetto del nuovo canile a Italo, “il cane, simbolo di tutti gli animali, che è e resterà nel cuore degli sciclitani”.

Italo tuttavia era un cane libero, che ha vissuto fuori da un box e con la possibilità di fare scelte autonome. Tutti lo ricordano in giro per la città ad accompagnare i visitatori, o davanti alla scuola, o dentro a una chiesa. Singolare dunque la dedica a Italo, simbolo di libertà e autodeterminazione, proprio di un canile, che al contrario è un luogo dove i cani vengono privati della loro libertà. Certo, nell’attuale impianto normativo e per come è strutturato oggi il sistema, la presenza dei canili appare inevitabile, un male necessario per contrastare il fenomeno del randagismo, tuttora endemico nel Sud Italia.

Ma è proprio così? Un dato è sicuro: migliaia di cani vengono spostati annualmente in canili del Nord per mancanza di posto nelle strutture dei territori d’origine, o per mancanza addirittura delle strutture stesse. A questa diaspora involontaria di un numero imprecisato di cani, che segue traiettorie e modalità non sempre legali – il fenomeno delle staffette irregolari, dei falsi ritrovamenti al Nord, dei cuccioli spediti senza chip o vaccinazioni è ormai fin troppo noto -, è auspicabile trovare alternative valide nel più breve tempo possibile. Lo ‘spostamento del problema’ non può essere una soluzione accettabile né per gli operatori del settore, oggi sempre più consapevoli dei gravi danni causati da queste pratiche, né per i cani, che molto spesso vanno incontro a infinite difficoltà di adattamento in città e luoghi completamente diversi da quelli di origine da cui sono stati letteralmente sradicati. Basti pensare ai cani nati liberi, e di indole diffidente verso gli umani, che popolano le nostre campagne e che troppo spesso sono costretti a trascorrere vite disagiate, a volte disperate, in un appartamento di Lodi, per dire. Ma soprattutto quello dei trasferimenti di massa non può e non deve essere l’ammortizzatore sociale, spesso interamente a carico dei volontari, che permette all’immobilismo delle amministrazioni locali di camuffarsi, che sopperisce ai gravi ritardi, a trent’anni dall’emanazione della legge quadro n. 281/1991, nell’adempimento degli obblighi che quella legge impone loro.

Ben venga, quindi, l’apertura di una nuova struttura sul territorio come freno ai continui trasferimenti, ma non può bastare. Anzitutto perché è illusorio pensare che un canile, quale che sia la sua capienza, sia la soluzione. Al di là degli aspetti etici, chiunque abbia conoscenza dei canili sa che sono luoghi impossibili da svuotare. Per quante adozioni (o trasferimenti) si facciano – e adozioni al Sud se ne fanno poche -, il canile si riempirà immediatamente di altrettanti cani, una parte dei quali destinati a non uscirne mai.

Servono allora azioni integrate portate avanti con continuità, e non occasionalmente come spesso avviene, a cominciare dalle sterilizzazioni per finire con campagne che promuovano le adozioni sul territorio. Soprattutto, serve la volontà di immaginare e realizzare alternative possibili, ad esempio le oasi canine di cui si è fatto un gran parlare a Ragusa lo scorso anno senza tuttavia vedere risultati concreti, o ancora un serio discorso sulle reimmissioni sul territorio, che poi è uno strumento suggerito dal legislatore nazionale ben trent’anni fa e recepito da quello regionale nel 2000. Niente di nuovo, insomma. E allora perché non spendere tempo, risorse e idee nell’implementazione di soluzioni percorribili e sostenibili, anziché sperperare denaro pubblico in pratiche inefficaci se non controproducenti?

Il nuovo canile di Scicli sarà certamente uno strumento utile se verrà concepito e gestito come prevede la legge e secondo le premesse iniziali: un luogo di passaggio per i cani che vi entrano, da cui bisogna farli uscire in fretta attraverso tutte le vie di uscita disponibili e immaginabili, perché la vita di un cane è breve ed è profondamente ingiusto fargliela trascorrere dentro a un box a causa della nostra inefficienza e mancanza di immaginazione.