“Fora ca c’è Maria”, a ‘Bulla re lochi santi’… antiche tradizioni in momenti di calamità

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Un foglietto di carta ingiallita, ripiegato e coi segni del tempo. Una volta stava attaccato nelle porte delle case: alcuni lo tenevano sempre, altri lo tiravano fuori nei momenti di calamità.

‘A bulla e lochi santi’, un documento con una tradizione antica. “La Bolla originariamente era il documento papale contenente le indulgenze e le dispense concesse ai partecipanti alle Crociate per liberare il Santo Sepolcro e i Luoghi Sacri dai Turchi e dai Saraceni. Cessate le spedizioni in Terra Santa, i Papi continuarono ad emanare Bolle, questa volta con lo scopo di raccogliere proventi per riscattare i cristiani schiavi degli infedeli. Entrati i Francescani in possesso dei Luoghi Santi, Clemente VI nel 1333 con una Bolla li dichiarò ufficialmente custodi e rappresentanti dei diritti del mondo cristiano su detti Luoghi. Benedetto XIV, con Breve del 17 giugno 1750, concesse poi “l’Indulgenza Plenaria in  “Articulo mortis” per la remissione di tutti i peccati a coloro che si provvedevano della Santa Figliolanza, ai benefattori e a tutti gli iscritti alla benemerita Pia Opera”. (fonte: http://nelloblancato.blogspot.com/2013/09/non-passa-piu-il-monaco-con-la-bolla.html)

Nella tradizione locale veniva utilizzata per scongiurare le calamità. Ogni anno un frate dell’Ordine Francescano di Terra Santa, proveniente dal convento di Palermo, sede del Commissariato per la Sicilia, faceva il giro dell’Isola per rinnovare di casa in casa le iscrizioni alle messe perpetue di Gerusalemme in suffragio dei Defunti. E lasciava questa ‘Bolla’, con la data dell’anno. Una tradizione che si è pian piano affievolita e persa. 

Tante sono le preghiere per allontanare il ‘male’ dalla propria casa. Chi non ha sentito una nonna, magari durante un violento temporale estivo, nella casa di campagna ripetere: “Fora ca c’è Maria”… volendo indicare che quella casa è assistita dalla protezione della Vergine Maria e quindi il male non può assalirla.

O un altro detto: “San Ciuvanni, senza priculi e senza danni”.

Altre preghiere ancora:

“E pieri ri Maria cceni n’angilu ca rorme
Susiti angilu! Sienti nu rumuri ri
3 nuvili: una ri vientu e una ri acqua
e una eni na cura traunara
Pigghia u cutieddu e tagghila a lu mienzu e abbiella ni na
cava scura unni nci canta iadu
e un nci luci luna e nu nci sia niuda criatura”

 

Santa Barbara nun rummiti

ca li trona su’partuti,

su’partuti e ‘pa via,

Santa Barbara, cu mmia!

Tri nuvuli vitti venniri:

Una ri acqua,

una ri vientu,

e una cu na cura traunara.

Pigghiatili, tagghiatili nto mienzu

e ghittatili ntà na cava scura,

unni nun canta n’gniaddu,

unni nun c’è nessunu lustru ri luna,

e unni nun c’è nessuna criatura.

A Catania il Velo di Sant’Agata, a Ragusa il braccio reliquiario del Battista… in ogni realtà, segni di una legame con l’invisibile per richiedere protezione e salvezza.

Antichi riti, purtroppo spesso dimenticati, che tornano alla mente in ore come queste in cui le immagini di devastazione sono forti, come quelle di Catania, e le notizie sul ciclone creano apprensione. Per chi crede è un segno di fede (che ovviamente va al di là della preghiera o di un’immagine), per chi non crede è un ricordo di una tradizione che assume il volto di una zia, di una nonna, di una vicina di casa.