In merito alla vicenda dell’arresto di un prete di Enna per violenza sessuale su minori e alle polemiche che hanno riguardato il vescovo di quella diocesi, Rosario Gisana, originario di Modica, riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Gianluca Floridia.
«La recente notizia dell’arresto di un sacerdote della diocesi di Piazza Armerina ha giustamente suscitato nei giorni scorsi molto scalpore.
Non si può essere che fiduciosi nell’operato delle Forze dell’Ordine e della Magistratura perché facciano piena luce sull’intera vicenda senza fare sconti a nessuno, come è normale che sia in uno stato di diritto, in particolare quando si tratta della tutela di giovani e di minori.
Quello che invece non desta affatto fiducia (quanto invece molti punti interrogativi), sono gli attacchi a mezzo stampa senza un briciolo di contraddittorio – come vorrebbe serietà professionale – da parte dell’ informazione locale nei confronti di una persona di riconosciuta sobrietà e stile evangelico come il vescovo mons. Gisana.
Secondo gli autoproclamatosi arbitrariamente detentori dell’Unica verità, il pastore Gisana sarebbe da identificare e sovrapporre meccanicamente al sacerdote che avrebbe compiuto fatti di cui inizialmente il vescovo non era neanche a conoscenza (essendo gli stessi stati commessi peraltro nel 2009, quando don Gisana non era neanche vescovo, e di cui comunque egli è venuto a conoscenza solo nel 2016).
Inoltre, come poi ratificato da Papa Francesco con il Motu Proprio del 2019 – i documenti ufficiali vanno letti attentamente e non solo citati come veline di agenzie di stampa – mons. Gisana già nel 2016 accertatosi della necessità del caso, chiede al sacerdote che lo informa di conoscere i genitori del giovane coinvolto, i quali incontrano il vescovo nel 2017. Quest’ultimo chiede ai genitori di entrare in contatto con la vittima, il loro figlio maggiorenne, che si reca dal vescovo nel 2018. A quel punto il vescovo si adopera per un’indagine previa sul sacerdote in questione che viene consegnata alla Congregazione per la Dottrina della fede, informando successivamente anche la Segreteria di Stato e in ultimo la Congregazione per il Clero. Questi ultimi non ritengono ci siano le condizioni per procedere e lasciano il vescovo all’unica scelta possibile: portare il presbitero protagonista della vicenda in un contesto (Ferrara) – la famiglia del giovane aveva richiesto riservatezza sul caso – con il supporto dell’assistenza terapeutica pertinente e sotto la supervisione di un altro pastore, credibile proprio in virtù della sensibilità ai più deboli, agli ultimi, mons. Perego, già Direttore nazionale della Caritas Migrantes e anch’egli attento ai problemi dei più vulnerabili, giovani compresi.
Quindi, scusandoci, riprendiamo il percorso fatto sin ora per cercare di capire: dal 2016 al 2019, il vescovo Gisana interpella gli organi ecclesiastici competenti, passando poi nel 2019 al trasferimento “in custodia”, con le opportune terapie e non solo, il presbitero protagonista della vicenda.
Ci chiediamo: perché ci si appella al Motu Proprio di Bergoglio (2019) quando Gisana si è mosso nel pieno spirito del Motu Proprio e comunque secondo gli indirizzi pastorali di Bergoglio?
Ci chiediamo: perché si parla di offerte coi soldi della Caritas quando agli inquirenti mons. Gisana – come persona informata, ndr – ha più volte chiarito che non c’è stata alcuna offerta da parte della Chiesa? Che senso avrebbe mai infatti (per chiunque) dichiararsi totalmente disponibile agli inquirenti e un secondo dopo fare alla stampa dichiarazioni non riscontrabili nel pieno delle verifiche in corso?
Da semplici uomini della strada ci chiediamo inoltre: avendo seguito pedissequamente lo spirito e le indicazioni del Motu Proprio di papa Francesco, avendo rispettato pienamente le regole e la legalità, perché si insiste a ritenere che sarebbe dovuto essere il vescovo a denunciare alla magistratura ordinaria e non i genitori della vittima ad esempio, o perché non la stessa vittima, ormai più che maggiorenne? Ha mai forse il vescovo impedito a qualcuno di portarsi alla Procura della Repubblica?
In definitiva: cosa si chiede realmente al vescovo Gisana?
Chi c’è realmente dietro questi attacchi ai pastori voluti da Bergoglio in Sicilia e vicini alla sua sensibilità?
Ci sembra che sulla vicenda si sia persa la lucidità anche minima che addirittura in post su Fb – oltre che in attacchi giornalistici assai violenti – si fa riferimento a una petizione a favore del sacerdote in questione (Rugolo) senza neanche la briga di rileggere quanto scritto (magari semplicemente ricontrollare) per accorgersi che la petizione dei fedeli di Piazza Armerina è invece a solidarietà del vescovo e del suo operato sotto il profilo umano e pastorale (e non quindi per Rugolo). Si spacciano per presenza costante e continuativa in diocesi a Piazza Armerina delle partecipazioni di Rugolo a circostanze circoscritte (una catechesi on line del vescovo, ad esempio), lì dove a Enna il sacerdote ha la residenza (e famiglia) di origine. In ogni caso partecipazioni frutto di una scelta di disobbedienza al mandato del vescovo al quale, infatti, in relazione alle stesse non viene comunicato nulla.
Quando ci si mette sopra il “piedistallo dei moralmente più puri” e da questo pulpito si denunciano dei reati trovando semplicisticamente capri espiatori, facilmente si può passare da sostenitori della vittima a emulatori del carnefice.
Al vescovo san Romero d’America (martire in El Salvador) dissero – prima del martirio, ovviamente – che era “fragile psicologicamente” e non in grado di reggere le responsabilità della propria diocesi. Quindi andava rimosso.
Per non parlare dei profeti laici, come Falcone e Borsellino, oggi tanto osannati nelle ricorrenze ufficiali ma denigrati in vita fino al limite della sevizia. Proprio a Falcone dicevano – chi in buona fede, chi no – che non denunciava i mandanti dei delitti politici e che “teneva le carte nei cassetti”.
Più volte la Chiesa di Bergoglio è finita sotto attacco per poterne minare la credibilità del nuovo stile pastorale:
ricordiamo ad esempio qualche anno fa l’attacco denigratorio nei confronti di fra Giovanni Salonia, subito dopo la sua elezione a vescovo ausiliare a Palermo. Tutto non a caso finito in una bolla di sapone.
Non vorremmo che tutta questa triste e dolorosa vicenda, che sarebbe da trattare con massimo rispetto in nome proprio delle vittime, sia invece una grossa occasione strumentale per fare confusione a danno degli esponenti di punta di Bergoglio in Sicilia, per dire che in fondo sono tutti uguali e che per questa nostra terra ‘bellissima e disgraziata’ neanche nei suoi uomini di frontiera e di maggiore coraggio pastorale si potrà trovare Speranza.
Noi non possiamo essere neutrali. Saremo sempre dalle parte delle vittime più fragili, vicino ai più giovani, anzitutto, ma saremo dalla parte delle vittime anche quando queste appartengono alla Chiesa.
Riteniamo, secondo il più elementare buon senso, che occorrerebbe lasciare lavorare la magistratura, evitando di allestire sommari tribunali di piazza tesi a strumentalizzare fatti in sé gravi per chissà quale causa di contrasti o magari per turbamento di equilibri consolidati nei territori dell’entroterra siciliano.
In alternativa allo stato di diritto c’è infatti solo la sicurezza che ogni forma di tribunale di piazza con i suoi giudizi affrettati determini spesso enormi ingiustizie, come conferma non a caso la vicenda di Gesù che proprio da un piazza, senza né prove né contraddittorio fu condannato a morte al grido di “Barabba!”».