Il metodo educativo di don Pino Puglisi riassunto da una testimone dell’impegno del parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia. È stata, infatti, Rosaria Cascio a tenere il secondo incontro del corso di formazione ‘Preparare un tempo nuovo’ promosso dalla Fondazione di comunità Val di Noto, insieme all’Istituto di istruzione superiore “Galilei-Campailla” di Modica, per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado e per quanti operano nei campi educativo, civico, sociale e dell’economia civile. Rosaria Cascio, che insegna da vent’anni italiano e storia nei licei a Palermo, è stata allieva di don Pino Puglisi da quando aveva quattordici anni. Lo ha seguito nei gruppi giovanili e, da anni, presenta la sua figura e ha approfondito il suo metodo educativo, la ‘pedagogia dell’esempio’, aiutando nei vari contesti ad attualizzarlo, nel ‘qui e ora’. A introdurre l’incontro, che per via delle nuove norme per contenere il Covid-19 si è tenuto on line, è stato il vicepresidente della Fondazione di comunità ‘Val di Noto’, Maurilio Assenza. Il quale ha spiegato come oggi più che mai c’è “bisogno di orizzonti ampi e di coraggio”. “Siamo partiti, nel primo incontro, dal femminile come aiuto per aderire alla vita. Adesso incontriamo Rosaria, allieva di don Puglisi: come accade nelle relazioni, vere, educative, lei lo riprende, rielabora la pedagogia che si ispira a lui, la pedagogia dell’esempio”. Come obiettivo di tutto il percorso di formazione c’è quello di trovare modi sempre più efficaci per “accompagnare i ragazzi in questo tempo difficile. Condividendo forti passioni educative, per offrire ai giovani grandi consegne”. Nel suo intervento, Rosaria Cascio ha ribadito che il sistema educativo di don Pino Puglisi non è nato negli ultimi tre anni della sua vita, quando è stato a Brancaccio come parroco, ma ha accompagnato tutto il suo impegno di vita di uomo e di sacerdote. “La mia esperienza umana, spirituale, di formazione alla vita – ha detto -, risale ai quattordici anni che ho condiviso con lui: gli anni della crescita. Ho potuto unire alla formazione che i miei genitori mi hanno dato, quella di un adulto che si è dimostrato essere un adulto significativo. Nella mia vita queste sono parole chiave: educatore, persona che sa ascoltare, adulto significativo. Da educatrice, oggi sono diventate il mio stile e il mio modo di lavorare”. Dal lutto al ricordo, dalla memoria all’impegno. Un cammino, quello che ha accompagnato i ragazzi di don Puglisi, che nell’esperienza di tanti è diventato testimonianza, azione, perché la memoria interpella. “Don Puglisi – ha detto Cascio – non è qualcuno da ricordare, ma una persona che ci invita all’impegno. Una memoria che impone al nostro corpo di alzarsi dalla sedia e ad andare: il ricordo trasformato in un testimone, generando una memoria che diventa azione”. Rosaria Cascio ha poi parlato del ‘metodo educativo puglisiano’, tracciandone alcune ‘costanti’. Un metodo educativo che non s’improvvisa, ma che è “competente”, è frutto di studio a 360 gradi. Un metodo che non si contrappone, “ma cerca di trasformare”, “che non combatte ma propone”, “che non condanna, ma crede nella giustizia”. E ancora, un metodo che “non si arrende ma si affianca agli altri”. Si è poi soffermata sull’empatia, una risorsa preziosa in ogni contesto, e a Brancaccio in modo particolare. “Il messaggio empatico – ha detto la docente palermitana – che contrasta il codice d’onore della mafia, che sospende il giudizio e quindi comprende. Un’apertura alla diversità, che in don Puglisi era un entrare in relazione e allo stesso tempo capacità di mettersi in discussione”. Il metodo di don Puglisi mette al centro il bambino, l’alunno, aiutandolo ad attivare le risorse per “diventare quello che potenzialmente è”. Un ‘incontro’ che don Pino ricercava anche attraverso il gioco, dove si apprendono le regole, capovolgendo l’ottica della mafia che negava il gioco, trasformandolo “in atti traumatizzanti”. “Don Puglisi – ha detto ancora Cascio – entrava in relazione con i bambini, non rinunciando di testimoniare le regole e l’importanza del rispetto, per combattere la freddezza emotiva creata nei ragazzi perché diventassero i killer di domani. Egli faceva comprendere il significato delle regole testimoniandone il valore”. È allora che don Puglisi diventava pericoloso per la mafia, “perché toglieva linfa, perché le toglieva i bambini”. E ha aggiunto: “Don Puglisi è stato alternativo da un punto di vista pedagogico a Brancaccio. È sbagliato dire che la mafia non ha un modello educativo, la mafia ce l’ha ed è molto rigido. Non è il nostro, ma ha il proprio. Puglisi non ha mai detto: la mafia non ha un modello pedagogico, ha riconosciuto che la mafia lo ha, per creare generazioni successive anaffettive e anestetizzate di sentimenti ed emozioni. Puglisi ha testimoniato un altro modello: il chiedere scusa, il dire grazie, la convivialità, il vivere dentro le regole. Ai bambini, ai giovani ha proposto questo modello”. È seguito un ampio dibattito tra gli insegnanti e gli operatori presenti, partendo dagli spunti offerti dalla relatrice e guardando anche al momento presente, alle prese con una didattica che va verso un ritorno a forme di lezioni a distanza. Una didattica che non si fissa solo sulla ‘materia’ da insegnare, ma che “guarda negli occhi”. “E quando lo sguardo dell’alunno incontra il tuo – ha detto Cascio -, non puoi ignorarlo. Devi fargli un sorriso e, finita la lezione, devi parlargli, per dirgli: io sono qui, per ascoltarti”. E ha concluso con la propria esperienza nel mondo della scuola, i libri scritti insieme ai suoi alunni. “Credo sia questo – ha concluso – essere insegnante puglisiana, scomparire noi docenti e lasciare spazio ai ragazzi, rendendoli protagonisti”.