In sei anni sono raddoppiati i cittadini della provincia di Ragusa che hanno deciso di vivere e lavorare all’estero. Le cancellazioni per l’estero sono passate da 353 del 2012 a 717 del 2018. E, si badi bene, il dato riguarda solo chi ha deciso di iscriversi all’Aire, l’anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero. Tantissimi altri, quindi, hanno lasciato l’Italia, ma non è possibile quantificarne il numero esattamente.
È questo il dato allarmante venuto fuori nel corso della presentazione del Rapporto Immigrazione, giunto alla sua XXVIII edizione. Quest’anno il volume è ispirato al Messaggio del Papa per la 105esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato e riporta come idea portante: “Non si tratta solo di migranti”. La presentazione del volume si è tenuta presso la Sala Fondo antico della Biblioteca diocesana “Mons. Pennisi”. A illustrare i dati sono stati il direttore della Caritas, Domenico Leggio, e Vincenzo La Monica, che si occupa del settore immigrazione. Presenti il vice prefetto Caruso, il vescovo Cuttitta, il sindaco Cassì e altri rappresentanti istituzionali. Ragusa si conferma la provincia con il più elevato numero di immigrati rispetto al totale della popolazione residente. La media siciliana è del 4%, la provincia di Ragusa supera il 9%. Acate si conferma il secondo comune in Italia per incidenza di immigrati: oltre il 32%, per un totale di 3.727 residenti (e a questi vanno aggiunti i tanti comunitari, che non hanno obbligo di residenza). Numeri consistenti anche a Santa Croce, con il 23,4% della popolazione totale che è di origine straniera. Seguono, Vittoria, Comiso; Ragusa è al 7,2%. Acate, Vittoria, anche Ragusa: la conferma che si tratta di immigrati che lavorano nelle aziende agricole della fascia trasformata, spesso sottopagati.
Un dato molto interessante riguarda l’età media: circa il 55% del totale degli immigrati rientrano nella fascia fino a 34 anni, con il 15% i nuovi nati e altrettanti da 1 a 5 anni. Tra le prime dieci nazionalità ci sono la Romania (8.897) e la Tunisia (8.680). Assai modeste, a conferma di come non ci sia alcuna ‘invasione’, Nigeriani e Gambiani, appena 600 circa.
Peraltro, nel 2011 i migranti sbarcati in Italia sono stati appena 11.000, su un totale di oltre 5,2 milioni di residenti, che nella stragrande maggioranza dei casi vivono, lavorano e pagano le tasse nel nostro Paese.
E una importante ‘correzione’ della distorsione mediatica: i migranti presenti sul territorio sono in buona parte cristiani.
Un altro dato interessante è quello della scuola: i bambini di genitori stranieri sono il 9% del totale, per complessivi 4.509 alunni. Oltre la metà di loro è però nato in Italia, quindi nei fatti italiano. I numeri dicono chiaramente, quindi, che non c’è alcuna ‘invasione’, mentre il vero problema, quello che la politica non vuole affrontare spostando la questione su altri temi, cercando il ‘nemico’ di turno, è quello della fuga di giovani e meno giovani all’estero.
Quest’anno il tema scelto dal Papa ha voluto rispondere a un’esigenza più ampia, quello di guardare i problemi degli ultimi in generale. Come ha spiegato don Rosario Cavallo: “Si tratta di tutta la persona, di tutte le persone…del futuro della famiglia umana; pertanto è necessario e sempre urgente mettere e rimettere al centro del dibattito il tema della persona, al di là della sua esperienza migratoria. Non si tratta di migranti ma più in generale di tutte le persone vulnerabili, troppo spesso scartate, che abitano le nostre periferie con le tante criticità che le caratterizzano pensiamo ai minori senza tutela , ai giovani senza speranza, alle famiglie ferite e private dalla casa e del lavoro ecc. Non si tratta solo di migranti ci dice che il perpetuarsi della distinzione fra noi e loro, fra italiani e stranieri, fra i nostri problemi e i loro problemi, fra i nostri sogni e i loro sogni non ha più senso”. E ha aggiunto: “Chi bussa alla porta del nostro paese, delle nostre comunità cristiane ci aiuta a fare discernimento su cosa ci chiede lo Spirito Santo, oggi. I migranti e i rifugiati ci aiutano a non cedere alle nostre paure, ci aiutano a riconoscere i nostri fantasmi interiori e a imboccare con speranza la strada dell’incontro con chi è diverso. L’atteggiamento verso i migranti è dunque la cartina al tornasole che ci dice la qualità della nostra vita comune e delle nostre società. Non è un caso che, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una crescente indifferenza e ostilità verso la sorte di queste persone con un aumento della solitudine e dell’isolamento, della conflittualità e della violenza nelle nostre società. Abituarci a voltare lo sguardo dall’altra parte quando vediamo persone che rischiano la vita vuol dire voltare lo sguardo anche ai nostri vicini e congiunti”.
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