Di Antonio Aurnia oggi se ne sono scritte e dette tante. E tante ancora se ne diranno nei prossimi giorni alimentando anche quel chiacchiericcio da bar che tanto lui odiava. Antonio era un uomo vero, un gentiluomo di altri tempi. Non solo per quel suo modo di vestire sempre elegantissimo ed impeccabile con l’immancabile pochette in bella vista, i suoi modi gentili ed educati, la “r” dolce che gli conferiva un’aurea ancora più nobile. Lui che di nobile aveva la cosa più importante, l’animo, visto che in realtà era il piuù classico e riuscito esempio di “self made man”, l’uomo che partendo dal basso grazie alle sue potenzialità e intuizioni era riuscito a costruire un impero senza mai diventare imperatore. Anzi. Era Antonio per tutti, per chi lo conosceva e per chi non ci aveva mai parlato un secondo ma lo considerava lo stesso un amico. A maggior ragione quando entrò nel mondo del calcio da protagonista. Lui che di calcio non era mai stato un grandissimo tifoso ma che per amore della propria città scelse di diventarlo più di tutti. Oltre ogni ostacolo, oltre ogni insidia, ci mise il cuore e vinse. Grazie a lui, noi tifosi del Modica figli degli anni 80, cresciuti con i racconti del mito dei rossoblù che conquistarono la C2 all’alba di quel magico decennio, finalmente abbiamo avuto la possibilità di avere del materiale di prima mano, di vedere con gli occhi cosa vuol dire tifare per la propria Città che vince e sale tra i professionisti. Pian piano i ricordi degli ’80 sono stati sostituiti dalle punizioni di Re Leone Impellizzeri, dalle geometrie di Gaetano Di Mauro, dalla classe di Carmelo Bonarrigo e Nino Barraco, dai voli di Spider Man Merletti e di tutti gli altri protagonisti di quell’irripetibile quinquennio che un giorno racconteremo ai nostri figli proprio come i papà hanno fatto con noi. Il sottoscritto, da giovane cronista, ebbe la fortuna di vivere ancora più da vicino quell’epopea, di conoscere meglio l’uomo Antonio Aurnia oltre che il Presidente. Delle mille istantanee che oggi mi sono ritornate in mente come una pellicola che scorre veloce ne voglio scegliere una che descrive alla perfezione chi era il “patron”. Il 17 maggio 2005 il Modica si gioca a Pagani la promozione in C/2. Io ebbi la fortuna di raccontare la partita in diretta da bordo campo, a Modica la Città paralizzata e incollata davanti allo schermo aspettava per festeggiare un’attesa durata 24 anni. In tribuna qualche centinaio di coraggiosi tifosi modicani, migliaia di campani inferociti ci insultano. Accanto a me sulla pista d’atletica c’è Antonio, in maglia verde speranza, con la consueta compostezza osserva lo svolgimento del match. Il Modica, che ha bisogno di un punto per respingere gli assalti del Sapri, è sotto 2-1 quando a tempo già scaduto l’arbitro assegna un rigore alla squadra di Pino Rigoli. Antonio si gira verso di me e mi dice: “Non voglio guardare, non ce la faccio” e si volta verso i propri tifosi dando le spalle al campo. Gianluca Catania spiazza il portiere e sigla il 2-2. Il Presidente impassibile alla Dino Zoff scuote il pugno e rimane concentrato. Ci sono ancora 3 minuti. In questi 180 secondi ho conosciuto Antonio Aurnia come mai negli anni precedenti. L’artefice del miracolo Modica si inginocchia sulla pista d’atletica, in religioso silenzio segue gli sgoccioli della partita. Il colore del volto e della testa comincia a trasformarsi fino a diventare di un rosso porpora intenso che racchiude tutti i sacrifici, le gioie, i dolori che aveva dovuto passare per arrivare fin la. “Per aspera ad astra” dicevano i latini e attraverso le difficoltà il Modica è riuscito a toccare le stelle. Ecco in quei cambiamenti repentini di colore, in quel silenzio che diceva tutto ho amato alla follia Antonio perchè anche senza parlare era riuscito a comunicarmi tutto quello che stava provando dentro. Come solo un uomo vero, senza filtri, può riuscire a fare. Al fischio finale ho avuto l’onore di essere il primo ad abbracciarlo mentre si pensava a quello che stava succedendo a Modica. Da lì quello che è successo è storia. Ognuno farà le proprie considerazioni, azzarderà ipotesi e punterà il dito su questo o su quello. Io preferisco, a parte questo ricordo che mi sentivo di condividere con tutti, rimanere in silenzio. Il colore del mio volto quando ho appreso la notizia è cambiato come quel 17 maggio. Forse non sono stato così bravo ad esprimere col silenzio quello che ho provato come fece lui con me a Pagani. Ma di sicuro quel colore non lo dimenticherò mai.