I versi della poesia ‘Siamo qui per questo’ di Mario Luzi hanno introdotto il primo incontro del corso di formazione per cinquanta tra docenti, educatori, operatori sociali e responsabili di economica civile dal titolo: ‘Riscoprire l’anima delle città. Educare alla luce della Costituzione repubblicana e dei suoi valori fondamentali’. È promosso da: Caritas diocesana di Noto, Fondazione di Comunità Val di Noto, Istituto superiore ‘Galilei-Campailla’ di Modica, Crisci ranni, cooperativa L’Arca, Progetto Policoro, Casa don Puglisi. Nel primo appuntamento, tenutosi a Villa Polara, a Modica, Antonio Sichera, che insegna Letteratura italiana all’Università di Catania, e Giovanni Salonia, direttore dell’Istituto Gestalt H.C.C. Kairos, hanno proposto ai corsisti appassionati ‘dialoghi sull’educare’. Traendo spunto dalla poesia, nella quale è centrale la figura di Giorgio La Pira, Antonio Sichera ha messo in luce alcuni parallelismi tra la Firenze di cui parla Luzi, ferita dall’attentato dei Georgofili, e le città di oggi, «città ferite». «Luzi era preoccupato del fatto che Firenze stava morendo: il turismo stava divorando l’anima e la realtà della città. E non è una questione solo di Firenze o solo di allora. Si pensi al rischio costante di ogni città d’arte che vuole diventare città turistica, un rischio che corre anche il territorio ibleo: il turismo non è questione di soldi, di fare venire gente. Perché il turismo concepito in maniera irresponsabile divora l’anima della città, sostituisce la vita reale con una vita fittizia da cartolina per i turisti». E invece, la città reale è quella che fa della narrazione un suo punto di forza. «Si diventa comunità raccontandosi le storie, piene di invenzione: che non è fantasia. È quello che sgorga dal vissuto». L’esempio di San Miniato, come luogo da cui ripartire per ricostruire la città, con un obiettivo, quel «siamo qui per questo», che parla di «futuro». In questo contesto s’inserisce il richiamo di La Pira come «rifondatore» della città, una città che «non è fatta per contenere, disciplinare, mettere a freno. Il desiderio – ha detto Sichera – è l’anima della città. La città è fatta perché ci siano desideri, senza desideri ardenti non c’è la città».
Giovanni Salonia ha individuato una serie di nodi problematici propri delle città. «La città – ha detto lo psicoterapeuta – può diventare luogo non dell’altro, a cui richiama Luzi, ma luogo del basso nel senso di degrado, del non umano». Una città, quella di oggi, nella quale «gestire l’amore, l’aggressività è più pericoloso. Quando nella città si uccide non bisogna pensare solo al fatto di sangue, ma c’è un uccidere l’altro di cui ci si rende consapevoli a lungo termine. I delitti della città più pericolosi sono quelli di cui non ce ne accorgiamo subito,ma dopo tanti anni si scopre che quella fabbrica ha avvelenato tante persone, come nel caso a noi più vicino, Gela». Città che è per definizione un «luogo pericoloso, che vuole la folla, cioè condizione di follia che è l’addormentarsi, poi ci si sveglia per un omicidio, un femminicidio. La tentazione di lasciare la città, quindi, è molto forte. Lo vediamo nella tentazione del disimpegno e della chiusura. E invece il nuovo compito che ci attende è educare alla città, che significa educare all’umanità. La città è veramente la grande sfida». E una grande sfida della città è quella della pace, una sfida che «non può essere giocata sugli interessi di parte che negano la compassione e il prendersi cura. Educare alla città significa educare all’alterità, e non è facile. ‘Cosa nostra’ è stata la negazione della città. È stata l’invasione perversa delle dinamiche familiari nella città. Mentre nella città abbiamo bisogno di ritrovare il rispetto per l’altro, con cui non abbiamo nessun legame se non il fatto di essere umani». E ancora: «La città ha un compito di umanizzazione. Occorre educare alla compassione che è la dimensione che ci umanizza, senza compassione e senza prendersi cura non gusteremo la gioia di essere umani». Salonia ha indicato altri obiettivi. Educare alla narrazione, «guardare dentro a ogni difficoltà non è un peso, ma ogni persona ha la sua storia e, attraverso il suo peso, possiamo conoscerla: a scuola è importante educare al rispetto». Ma anche educare al protagonismo: «La città mi appartiene, occorre imparare a protestare, a ribellarsi in modo legittimo, imparare a mettersi insieme, fare azioni di protesta civile. La città mi appartiene e io ho potere sulla città, potere di far sentire la mia voce. Se la città è vista come città degli altri è chiaro che io mi sottraggo. Per rimanere umani dobbiamo rimanere cittadini, essere capaci di un coinvolgimento che non si fermi nella via della legalità, ma che prosegua sull’altra strada, ancora più interessante, della legittimità. L’educazione alla legalità è monca. È necessaria una riflessione sul diritto, che non nasca, ovviamente, dall’ignoranza di chi parla senza sapere, ma nasca dalla consapevolezza che la legalità è soltanto un passo: quello che ci aspetta nel futuro è una lotta per la legittimità». Infine: «Ogni città dovrebbe avere di un luogo del culto, anche per chi è ateo…. il culto alla vita. La torre di Babele fu inumana perché tolse il riferimento con l’altro: buttiamo fuori gli stranieri, togliamo ogni riferimento alla vita. Dobbiamo invece ripensare la polis nei sui inizi, come oriente, come cura delle generazioni, e queste diventano le basi per ricostruire una città umana». L’incontro si è concluso con un momento di confronto in gruppi e con la condivisione finale.