Riportiamo integralmente la lettera aperta della famiglia di Gianna Nobile al Magistrato di sorveglianza.
Il 15 giugno 2013, la professoressa Nobile, stimata e amatissima docente di Vittoria, fu barbaramente assassinata a scuola, a colpi di pistola, dal bidello Salvatore Lo Presti. Una condanna a 16 anni con l’attenuante della semi infermità mentale.
Ora la decisione dei giudici di farlo uscire dal carcere, facendogli scontare a casa i restanti anni di reclusione.
La famiglia è molto scossa da questa decisione e, con toni garbati ma fermi, si rivolge al magistrato di sorveglianza con questa lettera che riportiamo integralmente.
“Non sono trascorsi nemmeno sei anni da quel 15 giugno 2013 e solo dai giornali apprendiamo che l’omicida della nostra Gianna tornerà ad abitare a Vittoria, dove ha seminato per anni il terrore e dove, se non fosse stato fermato in tempo, avrebbe compiuto (in una scuola!) la strage più volte dallo stesso annunciata.
Lo Stato, che dovrebbe proteggere i suoi cittadini e punire i colpevoli con pene giuste e certe, è lo stesso che ha deciso di applicare la detenzione domiciliare a Salvatore Lo Presti, già condannato nell’ottobre 2014 dal GIP del Tribunale di Ragusa a sedici anni e otto mesi di reclusione, e a cinque anni di misura di sicurezza in una casa di cura e custodia poiché ritenuto “socialmente pericoloso”. Pena attenuata perché l’omicida veniva ritenuto semi infermo di mente e accedeva al rito abbreviato, di cui può beneficiare anche chi, senza alcun motivo, toglie la vita ad un innocente, pur di non far “perdere” ulteriore tempo alla giustizia.
È lo stesso Stato che non riconosce alle persone offese il potere di impugnazione di tale ingiusta decisione e nemmeno alcun diritto di notizia.
Pertanto, ci rivolgiamo a chi ha reputato giusto concedere la detenzione domiciliare al Lo Presti, per il suo stato di salute “incompatibile col regime carcerario”, e ci chiediamo se la stessa Autorità abbia valutato, invece, la compatibilità tra la pericolosità di questa persona, semi infermo di mente e reo di omicidio premeditato, con il territorio ove è tornato a vivere.
A Vittoria viviamo noi, congiunti della Prof.ssa Gianna Nobile, e a Vittoria si trova la scuola frequentata da centinaia di bambini e insegnanti ove il Lo Presti per anni, impunito, ha seminato il terrore portando con sé armi di ogni genere e minacciando più volte di uccidere tutti.
Infatti, dalla sentenza di primo grado, confermata in appello, emerge quanto hanno dichiarato all’unisono coloro i quali avevano avuto a che fare con l’omicida: “ da quattro anni … avevamo notato un cambiamento caratteriale nel Lo Presti che spesso imprecava contro il diavolo … che lui avrebbe fatto una strage e i giornali ne avrebbero dato notizia; diceva di avere un elenco di dieci persone in cui la Nobile era al primo posto … facendo intendere che ce l’avesse con loro” e che “da circa sei mesi l’odierno imputato diceva spesso: ‘Devo lasciare un ricordo in questa scuola”.
Lo stesso colpevole omicida, poco dopo il fatto, dichiarava “Volevo farla pagare agli altri. Volevo vederli moriri tutti quanti. Ho sbagliato la giornata. E m’a pigghiavu cu ridda”.
La pericolosità del Lo Presti fu ignorata già dai dirigenti scolastici di allora che, preoccupati più della loro carriera e del buon nome della scuola, non intervennero in merito all’esposto presentato da un nutrito gruppo d’insegnanti.
La stessa pericolosità, sorprendentemente, è stata sottovalutata oggi, a poco più di cinque anni dalla morte di un’innocente e dopo una sentenza passata in giudicato supportata da perizia psichiatrica che ne afferma la semi infermità mentale, ma che, al contempo, accerta la pericolosità del Lo Presti e la sua volontà di non fermarsi ad una sola persona, avendo un elenco di soggetti “cui farla pagare”, che oggi non potranno sentirsi di certo tutelati da questa giustizia.
Noi, persone offese, ci chiediamo se chi ha deciso di applicare la detenzione domiciliare abbia accertato dove il Lo Presti andrà a vivere, verificandone le condizioni di vita personale, familiare e sociale. Tale nostro dubbio sorge in considerazione di quello che alcuni familiari del Lo Presti, presentatisi in Commissariato, sentivano il bisogno di riferire: il loro parente aveva sempre avuto “fissazioni per le donne, importunando qualunque donna incontrasse di ogni età”; aumenta considerando che il Lo Presti risulta essere separato dalla moglie e che questa, già all’indomani della sentenza di condanna di primo grado, pignorava il TFR e il quinto della pensione dello stesso per assicurarsi il mantenimento.
Ancora, ci chiediamo se in questa abitazione in cui il Lo Presti andrà a vivere gli potranno essere garantite cure migliori di quelle che avrebbe ricevuto nelle strutture carcerarie attrezzate presenti sul territorio nazionale e questo non perché vi sia nostra preoccupazione per il suo stato di salute, ma perché, ancora una volta, il sistema “giustizia” paleserebbe un aspetto altamente diseducativo e contro ogni logica di legalità, esponendo la collettività a concreti pericoli.
Non sappiamo spiegarci, di fatto, perché un uomo socialmente pericoloso e affetto da gravi patologie, ma responsabile di reati mafiosi o violenza sessuale, non possa ottenere la detenzione domiciliare e, viceversa, un uomo altrettanto pericoloso per la collettività tutta, semi infermo di mente, ma responsabile di un omicidio premeditato, possa ottenerla.
Ciò di cui siamo certi, invece, è di non volerci ritrovare a piangere altre vittime per la decisione sbagliata: difficilmente si riuscirà a prevenire la violazione della misura degli arresti domiciliari e nessuno potrà, a quel punto, evitare che il Lo Presti porti a compimento il suo piano criminoso in più occasioni annunciato.
Quanto mai attuali ci risuonano le parole pronunciate dalla nostra Gianna ad alcuni colleghi a scuola qualche mese prima della sua uccisione “E se fa una strage come dice? Chi se lo porta questo peso sulla coscienza?! … È necessario che ci scappi prima il morto?”.
Stavolta però, non è la coscienza di un’attenta e prudente insegnante di religione a doversi preoccupare, ma la Magistratura di Sorveglianza, lo Stato, che dovrà prendere coscienza dei nefasti effetti sui propri cittadini che la decisione adottata potrà causare.
Non solo da parenti della vittima, ma da cittadini chiediamo, con fiducia, che tale provvedimento possa essere revocato in segno di rispetto nei confronti di una donna innocente che non c’è più, di attenzione verso la comunità vittoriese che non merita di correre nuovamente un tale pericolo e, infine, per gli italiani che ogni giorno sentono parlare di principi di Giustizia e di certezza della pena, che vengono quotidianamente delusi e maltrattati da chi tali principi dovrebbe attuarli.
Crediamo fermamente che sia dovere dello Stato educare i cittadini alla legalità, recuperando i valori e i fondamenti del vivere sociale, rintracciandoli nel connubio tra Giustizia e Responsabilità, creando i presupposti per una prevenzione stabile e durevole”.