La sedia rotta e le caviglie stanche.
La prima è quella su cui Don Pino Puglisi si metteva a studiare: rotta, perché in fondo stare seduti (rischiare la pigrizia!) non è il centro della vita. Le seconde sono quelle di Papa Francesco, che alla fine del suo tour de force siciliano una sedia ha avuto invece bisogno di cercarla, ed è da lì che ha parlato ai giovani di questa terra.
“Nel corpo di don Pino e in quello del Papa, nella sedia rotta e nelle caviglie stanche, appare forse il senso ultimo di questo sabato siciliano, e al contempo il suo primo filo conduttore”: con quest’immagine folgorante, un’intuizione densa di significati consegnati alle emozioni e alle riflessioni del lettore, Giovanni Salonia tira le fila del messaggio consegnato dal Pontefice alla Sicilia, firmando insieme ad Antonio Sichera la postfazione agli atti della visita appena pubblicati da San Paolo.
“Venire, camminare, visitare sono le azioni statisticamente ad alta frequenza nelle parole che Francesco si è scambiato con il popolo di Dio e con i suoi fratelli vescovi durante le ore trascorse a Piazza Armerina e a Palermo”, mettono infatti in luce Salonia e Sichera guidando una rilettura incrociata dei discorsi con cui tanto Papa Francesco quanto Monsignor Rosario Gisana e Monsignor Corrado Lorefice hanno messo a quell’indimenticabile 15 settembre – anniversario della morte del Beato Pino Puglisi – il sigillo di un ‘patto’ di vicinanza e di comunanza.
Un patto stretto attorno al corpo “mite” e “fragile” di Don Pino, esemplare testimone di quella visione della Chiesa che Bergoglio prima, Lorefice poi e tanti altri con loro, vorrebbero oggi tracciare come strada di rinnovamento profondo, e che proprio in Sicilia ha d’altra parte sofferto – e ancora soffre – della pervicacia di non pochi detrattori.
Ma chi ricorda quel giorno, ricorda anche come il Papa ha saputo trasformare il suo monito determinato in un’ennesima lezione di umanità e di accoglienza: “Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore”, aveva detto Francesco a Palermo, chiamando i mafiosi ‘fratelli e sorelle’ e invitandoli alla conversione. E “non a motivo del giudizio finale, ma dell’inconsapevole spreco della vita”, si annota ora nella postfazione ai suoi discorsi, che Giovanni Salonia e Antonio Sichera chiudono scegliendo di reinterpretare le parole del Papa attraverso un inconsueto ma illuminante approccio linguistico: “Francesco annuncia a Piazza e a Palermo il suo Vangelo siciliano, dove tornano certo i grandi temi della sua predicazione (dalla rivoluzione della tenerezza alla lotta al familismo e al carrierismo, dalla passione per i poveri all’appello alla solidarietà e all’accoglienza), ma dove si sente una intonazione speciale, una inflessione sicula, mirabile e sorprendente. Il dialetto infatti, già evocato dal Papa a proposito dello ‘sporcarsi le mani’, prende il sopravvento e gli fa imboccare una strada di totale partecipazione all’orizzonte linguistico e culturale dei siciliani quando giunge ad affrontare il nodo della mafia e delle sue parole d’ordine”. Non solo il mito dell’onore che si oppone alla bellezza dell’amore, ma anche, con lo stesso codice, “l’esistenza piccola, giocata attorno ai ‘piccioli’, alla ‘vita bella’, donata nella diaconia umile e liberante, che salva e ristora; la litania della prepotenza e della vendetta al riconoscimento radicale del bisogno dell’altro e di Dio; il mito della vittoria della forza e della furbizia all’esistenza vincente perché aperta e amante”.
Un allineamento dialettico che rivela la grana di un calore autentico, di un contatto profondo tra il popolo siciliano e Francesco. Anche lui “un uomo del Sud”, come – lo ricorda Alessandra Turrisi nell’introduzione – ha affermato in risposta a don Corrado che, di fronte alla folla di Brancaccio, gli diceva: “Santità, si goda l’affetto della gente del Sud”.
Gente che di ogni cammino accetta la gioia, ma anche la fatica e la stanchezza: la sedia rotta, appunto, e le caviglie stanche.