Al teatro ‘Naselli’ di Comiso va in scena ‘L’aria del continente”

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Il 24 febbraio alle 21 e il 25 alle 19, al Teatro ‘Naselli’, il Teatro del Pero di Comiso, porterà in scena ‘L’aria del continente’ di Nino Martoglio, con la regia di Giampaolo Romania. In scena, in ordine di apparizione): Maria Grazia Pelligra, Franco Arrabito, Lorena Peligra, Alessandro Campo, Salvo Purromuto, Maurizio Grazioso, Angelo Agosta, Saro Castilletti, Annalisa Ferlisi, Maria Teresa Strada, Marco Comitini, Salvo Giorgio, Grazia Floridia. 

Scenografia e costumi: Maria G. Pelligra; aiuti scenografo: Alessandro Campo e Maurizio Grazioso; musiche: Salvo Giorgio; tecnico audio e luci: Salvo Lauretta. Prenotazioni e prevendita: 349.6201783.

Un classico è sempre attuale, in barba a chiunque faccia della “novità a tutti i costi” un valore assoluto e ritenga restrittivo riproporre qualcosa che “sia stato già visto”; se poi quel classico è anche divertente, il gioco diventa ancor più interessante. Per quanto si possa dire che il modo di ridere oggi sia cambiato rispetto a qualche tempo fa, ciò non vuol dire che non si possa godere di gags, equivoci e trovate che hanno già da decenni trovato legittima cittadinanza sulle assi di innumerevoli palcoscenici. La risata – quella genuina, quella che non si limita a far distendere i muscoli labiali ma proviene direttamente dalle viscere – non ha tempo; ciò, soprattutto, quando la comicità non è una semplice captatio benevolentiae nei confronti del pubblico ma nasce da meccanismi ben consolidati e, in omaggio al ghelòion aristofanesco, si fonda sull’intento (e sulla capacità dell’attore) di far riflettere lo spettatore. In più l’equivoco, punto nodale della maggior parte delle commedie, attirerà sempre il pubblico di ogni luogo e di ogni epoca; a patto, ovviamente, che sia costruito così sapientemente come la penna di Nino Martoglio ha sempre dimostrato di saper fare. Anche i temi sono universali e per nulla macchiati dal tempo: su tutti quello che dà il titolo all’opera, ovvero la voglia di rivalsa del protagonista, l’agiato possidente don Cola Duscio, che ha respirato “l’aria del continente” per via di un’operazione di appendicite e torna al suo paese siciliano con la millanteria di chi vuol dimostrare di essersi evoluto rispetto ai suoi vecchi compari. La sua presa di distanza dalle vecchie abitudini risulterà, alfine, abnorme per via dell’equivoco che si viene a creare nel corso della vicenda; e – gnome fondamentale dell’opera – quanto più aveva in precedenza disprezzato le proprie origini, con tanta più forza un deluso don Cola tornerà all’ovile, recuperando in un sol colpo tutto quel che credeva di aver definitivamente messo da parte. Su questo tema dell’eterna contrapposizione fra Nord e Sud (che non è un fatto solamente italiano) si innesta quello del rapporto con la donna fatale che è la protagonista femminile dell’opera: forse sarebbe eccessivo parlare di “amore”, perché quella che don Cola prova nei confronti dell’affascinante Milla Milord è più che altro una via di mezzo fra un’ovvia infatuazione carnale e il desiderio di unirsi (e di farsi vedere in giro) con una donna “evoluta” del Nord. La quale, alla fine, di “evoluto” non dimostrerà proprio nulla, se non la disinibizione ed un’eccessiva spigliatezza di costumi. Tra gli ironici monologhi del protagonista e le gustose contrapposizioni fra il suo modo di vedere la vita e quello degli altri, Martoglio traccia un vero e proprio quadro psicologico dei personaggi; i quali, pur partendo dalla tipicità delle classiche maschere della macchietta (che l’autore qui tratta con la maestria che gli è abituale), assurgono alla dignità di veri e propri caratteri della commedia borghese. Poco importa che la lingua usata sia il vernacolo: quando i temi sono universali, tale diventa anche la lingua. Ed è per questo che la scelta è stata quella di conservare il dialetto siciliano, sfruttandone ogni possibilità espressiva e cercando di potenziarne il già altissimo valore descrittivo: il tutto senza scadere nella caricatura, come del resto l’autore medesimo ammonisce a non fare nelle didascalie originali.

Anche con quest’opera il Teatro del Pero – che pure si è già cimentato con stili più peculiari come la commedia eduardiana o, addirittura, radicalmente diversi come la commedia americana – dimostra di privilegiare anzitutto la genuinità dell’opera e quella della comicità in generale: qualunque sia il genere affrontato, se la risata è intelligente e l’approccio dell’attore è vòlto a valorizzarne proprio questa caratteristica, il risultato sarà garantito. A ciò si aggiunga la peculiarità dell’allestimento scenico, con l’uso di elementi particolari e polifunzionali che permettono di restituire al pubblico con un sol colpo d’occhio la triplice ambientazione dell’opera, dove ogni atto si svolge in un ambiente diverso. Le luci e la musica faranno il resto, in considerazione del fatto che – secondo la consolidata cifra stilistica del regista Giampaolo Romania – costituiscono non soltanto dei meri commenti sonori o luminosi ma assurgono alla dignità di battute vere e proprie, divenendo elemento drammaturgico fondamentale.