“Ho fatto mille volte avanti e indietro dalla luna”, rispondeva Don Giugginu a chiunque gli chiedesse quanti chilometri intuisse di aver percorso, a bordo della sua 127 trasformata in gelateria. L’aveva battezzata “Francesca”, perchè per lui era come una persona, la fedele compagna di tutte le ore di tutti i giorni di tutta la vita, che adesso ha lasciato parcheggiata sulla salitina di via Fontana, di fronte a casa sua, un po’ attonita come tutti i bambini – anche quelli cresciuti, anche quelli invecchiati – che a quel furgoncino bianco si sono lungo i decenni avvicinati per qualche minuto di frescura e di felicità.
Era appena un ragazzino, Giugginu, quando nel 1954 ha comprato la prima macchina per andare a vendere i gelati. Tra i declivi delle colline iblee, in discesa la guidava a folle, per risparmiare, trucchetto a cui non ha più rinunciato, considerandolo del tutto onesto. Doveva raccogliere i soldi per sposarsi, quell’anno, Don Giugginu, che altrimenti con Carmela, la sua fidanzata – il tenero e dolce amore della vita – gli sarebbe toccato espatriare. I gelati li faceva pagare 10 lire, ma quando le frotte si avvicinavano e qualcuno non aveva il soldino, lui un po’ di gelato sull’ostia lo metteva a tutti, “perchè i bambini sono bambini”.
Per tutti i pozzetti del gelato, usava una sola paletta, così che fosse inutile scegliere il gusto e bisognava rassegnarsi al suo cono “tuttigusti”. Le granite, le faceva solo al limone, la mattina presto, nel piccolo laboratorio che si era ricavato accanto alla cucina, così da prepararsi a uscire mentre dall’altra parte Carmela preparava il caffè. Poi balzava a bordo di “Francesca” per raggiungere quello che secondo lui era in provincia il luogo più affollato, dove quel giorno non si poteva proprio mancare: dai mercati alle ore di ricreazione, e la domenica sempre allo stadio, per poi rientrare alle 16 in punto ai piedi della scalinata di San Giorgio e da lì arrampicarsi tra i vicoletti più angusti di tutta Modica Alta, a farsi circondare da tutti quei bambini che già da lontano erano accorsi al suono del fischietto. O, se per lui erano tempi di magra, addirittura al richiamo del megafono: “La vuoi la granita?! Fai presto, è quasi finita”.
Al buon Giugginu, coi suoi grandi occhi acquosi, i pantaloncini corti e i calzettoni dentro i sandali, così sono passati davanti i decenni. E il suo malinconico furgoncino di “Gelati e Granite”, testimone del tempo e di memorie, innocente e discreto custode di tanti segreti, non ha mai smesso di passare al fianco delle vite di quei ragazzini che nel frattempo sono diventati grandi, papà e nonni che poi sono tornati da lui portando per mano figli e nipoti.
Hanno provato a togliergliela, “Francesca”, per un po’. Quei Vigili Urbani con cui ha cominciato a litigare quando si sono messi in testa che non ce la facesse più con la vista. Non aspettavano altro, secondo lui, che di beccarlo in flagrante, parcheggiato in divieto di sosta per prendere un attimo le medicine in farmacia: l’attimo perfetto per iniziare la persecuzione, per poi ritirargli la patente dopo un piccolo incidente con una ragazza a bordo di un motorino e togliere così il pericolo dalla strada. Pensavano, loro, di tenerlo a casa. Ma lui, mentre da un lato scriveva a Questori e Prefetti per avere ripristinata la dignità, si era procurato pure un autista: a casa non c’è rimasto nemmeno un minuto e a nessuno sono mai mancati i suoi gelati.
Ci mancheranno adesso, e tanto. Ma lo sappiamo tutti quanti bambini ci saranno, lassù in cielo, che da adesso in poi avranno ogni giorno il loro golosissimo cono tuttigusti.