Il ragusano medio? Sente di appartenere alla religione cattolica, nonostante a volte abbia dubbi sul credere in Dio e di rado partecipi in maniera attiva alla vita della parrocchia. Un sentire che diventa ancora più contraddittorio se riferito all’universo giovanile, interessato più al fatto spirituale che a quello religioso, rispetto a cui le certezze della tradizione cattolica sembrano entrare in crisi.
A fornire l’incisivo identikit è uno studio, commissionato dalla Diocesi di Ragusa sulla propria comunità e sulle caratteristiche della religiosità contemporanea. I primi risultati della ricerca sociologica pubblicata nel libro “L’incerto credere della società plurale“, danno conto del relazionarsi degli uomini e delle donne ragusane con Dio nel tempo della tarda modernità. Lo studio è stato promosso dalla Diocesi di Ragusa, su proposta della Consulta delle Aggregazioni Laicali, ed affidato a Vincenzo Bova, docente di sociologia delle religioni, e a Daniela Turco, ricercatrice dell’Università della Calabria nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, di cui è direttore il ragusano Francesco Raniolo, che insieme al professor Enzo Pace, presidente dell’International Society for the Sociology of Religion e a Giorgio Massari, già docente della Lumsa ed attualmente docente dell’Unipegaso, hanno collaborato alla stesura del rapporto di ricerca. Significativi i dati raccolti, visto che, come sottolineano gli stessi autori, “studiare la religiosità in una comunità del Sud Italia, vuol dire porre domande, ascoltare risposte, proporre ipotesi interpretative che superano l’ambito meramente religioso per diventare strumento per tentare di capire come vive, come si orienta una comunità in transizione“. Lo studio diventa così uno strumento utile “non solo per chi vuole conoscere le caratteristiche della religione e della fede che si vive nella comunità, ma per chiunque vuole conoscere in profondità la società civile e politica ragusana“. A distanza di 70 anni dalla ricerca “Ragusa comunità in transizione“, i dati raccolti e analizzati rendono “un’immagine nitida, oggettiva e non scontata di una comunità che si autorappresenta nella continuità, nonostante i cambiamenti e il passaggio delle generazioni“.
Passando ai dati più rilevanti, la ricerca dà conto di come si vive la religione in un contesto sociale ed antropologico che condivide in larga scala (86,3 %) l’appartenenza alla religione cattolica, ma che non condivide con altrettanta larghezza il credere (57% crede in Dio senza alcun dubbio). Percentuale ancora più bassa (15 %) della partecipazione attiva alla vita della parrocchia tramite gruppi ed associazioni. Rilevante tutto quello che la ricerca ci mostra dell’universo giovanile, attento ed interessato più al fatto spirituale che a quello religioso. Un universo giovanile, quello della diocesi di Ragusa, in cui gli articoli della fede si fanno più incerti e le certezze della tradizione cattolica sembrano entrare in crisi. La maggioranza relativa del campione (33,5%) si riconosce senza riserve nella chiesa cattolica, ma meno uno su dieci dei giovani rientra in questa categoria, mentre essi si collocano nella percentuale più alta che identifica la religiosità “fai da te”, nel self service religioso.
Fondamentale il capitolo sulla socializzazione religiosa e sulla relazione con la Chiesa cattolica, che continua a riscuotere un alto grado di fiducia. Grande il consenso verso Papa Francesco (84,3), Giovanni Paolo II (71,6) e Madre Teresa di Calcutta (64,6). Decisamente più basso il livello di vicinanza percepito per la rivista Famiglia Cristiana (21,1), i vescovi (27,2) o le suore (27,5) mentre si attesta a 40,6 quello verso le associazioni e movimenti cattolici, sale a 46 quello verso i preti e sfiora i 55 il livello di vicinanza percepito verso la parrocchia di riferimento.
La Chiesa cattolica viene inoltre vista come dispensatrice di valori importanti per le persone e per la società. Cosa diversa per gli orientamenti sia in campo spirituale che sociale, magari da disattendere nella libertà delle scelte concrete di vita. “Il livello di accettazione più elevata – spiegano i relatori – è verso gli appelli a difesa di alcune istituzioni e valori. Il consenso scende quando la voce della chiesa si alza concretizzandosi in divieti che appaiono evidentemente come limitativi della libertà di scelta delle persone“. I dati forniti illustrano come gli intervistati giudichino molto o abbastanza condivisibili i pronunciamenti della Chiesa sulla perdita dei valori (85,5 %) o a difesa della famiglia fondata sul matrimonio (85,1%). Il fronte dei consenzienti si riduce di molto sui divieti pronunciati dalla Chiesa: alla possibilità per persone omosessuali di diventare preti o suore (48%), agli scienziati di sviluppare taluni ambiti di ricerca (48.8%). Bassissimo poi il consenso sul divieto di avere rapporti sessuali prima del matrimonio (35,8 %) e sulla negazione dell’eucaristia ai divorziati risposati civilmente (20,5%). Tra gli intervistati il livello di condanna è massimo principalmente per il tradimento del coniuge o partner (62,9%), per la frequentazione di prostitute (56,8%). Numeri che scendono per la convivenza senza matrimonio, condannato in maniera più severa dal 15,4% degli intervistati o per il divorzio (15,1%). Ed ancora, il livello di condanna massimo verso le esperienze omosessuali riguarda il 37 % degli intervistati, verso la masturbazione il 21,1 %, sull’avere esperienze sessuali senza essere sposati il 16%. Rispetto a temi di attualità, si è dichiarato favorevole all’eutanasia il 33,3% degli intervistati mentre il 40% è favorevole al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali anche se solo per il 9,1% una coppia omosessuale può allevare i figli altrettanto bene di una eterosessuale.
Diversi gli interrogativi sul futuro della comunità cristiana iblea ai quali la ricerca potrà rispondere. In primo luogo, “non è che le nuove generazioni stiano esprimendo un nuovo modo di credere e appartenere, senza più rivoltarsi contro un’istituzione religiosa in cui continuano, di fatto, a socializzarsi?“. Perché, in fondo, pensano di poter incontrare Dio senza dover dipendere dall’autorità morale della famiglia e quella teologica della Chiesa cattolica. Non tanto senza Dio, ma alla ricerca di un Dio senza religione.