“Mi chiamo Buba, ho 17 anni, vengo da Conakry, la capitale della Guinea. Sono scappato dal mio Paese per questioni politiche. Il viaggio non è stato facile per me, sono fuggito attraverso il Mali, passando per il deserto… e lo sapete cosa vuol dire il deserto. Poi cinque mesi in Algeria, facevo lavori duri, senza essere pagato, ma non avevo altra scelta. Poi la Libia, sono stato messo subito in prigione. Anzi sono stato fortunato, ci sono rimasto solo un mese. Alcuni miei amici ci sono rimasti anche un anno. Lì ci offendevano, ci facevano fare lavori duri, niente acqua, cibo qualche volta. Poi ci hanno detto di chiamare le nostre famiglie e di farci mandare tanti soldi. Ci hanno messo in un gommone in 125, in piena notte. Ci hanno detto: seguite quella stella là. È molto pericoloso: se sei fortunato incontri le grandi navi che ti portano in salvo, se non sei fortunato muori. Ho visto morire tanti miei amici”.
Il racconto di Buba, che non era previsto, ha messo un ‘sigillo’ forte alla veglia di preghiera interreligiosa per la pace promossa dalla Caritas diocesana di Noto e dalla comunità missionaria intercongregazionale, a Modica, a Villa Polara. Una storia, quella di Buba, che mostra la sofferenza e la voglia di rinascita e la forza dell’accoglienza per costruire un mondo di pace. “Sono arrivato a Pozzallo il 27 settembre del 2016 – ha detto Buba – e sono stato accolto, mi hanno aiutato tantissimo. Ho iniziato la scuola di alfabetizzazione, mi sono iscritto alla scuola media e l’ho superata, ora studio al Nautico. Sono a Pozzallo da un anno e quattro mesi. Non posso dire di avere amici, lo so, devo dimostrare di essere un bravo ragazzo, la gente si deve fidare. Quando qualcuno mi dice ‘nero’, io sorrido. È vero, è il colore della mia pelle. Voglio però dire che il pregiudizio non è giusto: prima di giudicare una persona devi conoscerla. Devo anche dire grazie, però, con il cuore, per tutto quello che ho ricevuto qui, ora sto bene”.
La veglia era iniziata con un video dal titolo “Un canto per la pace”. Poi la riflessione affidata a quattro testimonianze su altrettante ‘azioni’ tratte dal messaggio del Papa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Valeria Ponente, psicologa che presta il proprio servizio alla Casa delle Culture di Scicli, dove sono sino ad ora ospitati 700 soggetti vulnerabili (bambini, famiglie, donne sole o con minori) ha spiegato come nel centro si lavori non solo per un’accoglienza dal punto di vista dei bisogni fisici, ma “offrendo spazi mentali di condivisione, in cui possano sentirsi sicuri, possano fidarsi e affidarsi. Accoglienza, quindi, è fare un percorso insieme, sostenendo questi ragazzi, queste donne e queste famiglie a riacquisire consapevolezza dei loro diritti e della loro dignità. Tutti abbiamo diritto alla pace”. Proteggere: ne ha parlato Giorgio Abbate, presentando il lavoro del progetto ‘Presidio’, che ha proprio il compito di tutelare i migranti dallo sfruttamento. E poi Latif, che frequenta la scuola d’italiano per stranieri di Modica: “Ora leggo un po’, scrivo un po’”. “La nostra scuola – ha detto una delle insegnanti – è innanzitutto un luogo d’incontro tra culture diverse. Un incontro di persone che, imparando una lingua, riscoprono il linguaggio dell’amicizia”.
La quarta testimonianza quella di Murad, che viene dalla Tunisia: dopo una lunga e dolorosa attesa è riuscito a ricongiungersi con la sua famiglia. È riuscito a pronunciare solo qualche parola, per l’emozione. È stato Cristian Modica, del Centro ascolto della Caritas, a spiegare l’impegno di un intero quartiere, a Modica bassa, a permettere una proficua integrazione di Murad e della sua famiglia. “Quando andiamo a casa loro – ha detto Cristian – è una festa dell’accoglienza”.
Infine il momento della preghiera. Il pastore Francesco Sciotto, della Chiesa Valdese, ha pregato il salmo 107, chiedendo a Dio “di far giungere alle nostre orecchie il grido di chi fugge”. Anna Brunelli, oblata benedettina, ha letto il messaggio inviato dalle suore Benedettine di Modica: “Amare nonostante tutto. La pace è concordia e fiducia reciproca”. Poi Daudà, del Mali, ha pregato prima in arabo e poi in italiano, “perché Dio, il misericordioso, conceda la pace a noi, alle nostre famiglie, a tutto il mondo”.
A chiudere la veglia la riflessione del vicario generale della diocesi di Noto, don Angelo Giurdanella: “Con la preghiera abbiamo bussato al cuore di Dio”.