Una ‘favola’ che non risparmia la ‘durezza’ della realtà, ma che non si accontenta della via più breve, della mera dell’utilità. In un dialogo, dinamico e appassionato, la favola di “Jojò e il paese di domani” parla agli adulti con una rappresentazione splendida di ragazzi e bambini.
Ragazzi dai 7 ai 15 anni, che hanno dato il massimo (e il risultato è davvero straordinario) per uno spettacolo, quello inserito nella stagione teatrale ‘Palchi DiVersi’ della Compagnia Godot, che parla di Natale senza mai farne esplicito riferimento. Una storia nella storia, per raccontare di come l’arte, l’amicizia, l’amore possano fermare, almeno per un giorno, le ruspe del tornaconto, della strada facile a ogni costo, dell’indifferenza.
Abbandonare in un orfanotrofio la piccola Eli, trovata in giro mezza morta tre anni prima, e firmare un bel contratto per sponsorizzare veleni chimici che infestano la terra o rischiare di rimanere girovaghi senza più nemmeno un terreno dove piazzare i propri carri (perché la tenda non ce l’hanno più, e “quando un circo impegna pure la tenda è la fine”)?
In questo interrogativo si muove tutto il racconto, che inserisce tutti gli elementi della fiaba (la principessa e il principe, lo specchio, il ragno malvagio…) nell’eterno tragico conflitto tra necessità e libertà. Il dialogo è serrato, la proposta allettante. Ma è Jojò, il clown con la fiaschetta sempre in mano, un po’ depresso da quando i bambini snobbano il circo, ipnotizzati dall’illusione della realtà televisiva, a ricomporre i termini della scelta. E finiranno in coriandoli le proposte della ‘ditta’, allettanti come ogni facile successo, mentre la compagnia, quel circo che ha provato lo sconforto di ciascun che impegna tutto se stesso nel fare le battaglie e si confronta con il peso di talune sconfitte (“mica possiamo salvarlo noi alla fine il mondo”), alla fine trova la forza per resistere: “Il domani appartiene agli artisti”. Tratta da un libero adattamento di Federica Bisegna da “La favola dei saltimbanchi” di Michael Ende (lo stesso autore de ‘La storia infinita’), con la regia di Vittorio Bonaccorso, l’opera è un passionale, e mai banale, inno alla libertà, costi quel che costi, contro il potere economico e politico. Contro, soprattutto, la dittatura della superficialità e dell’arrivismo, dove un ragno malefico fa da puparo, muovendo i suoi burattini in una illusoria perfezione. Una favola di Natale, quella di Jojò che rivolge il suo augurio, che è un appello a seguirlo nel ‘paese di domani’: “Benvenuto a chi vuol venire, perché il mio regno sta nell’avvenire”.