Oltre 2 mila metri quadrati di continue scoperte, 7 anni di lavori che hanno restituito alla città la più antica origine e il più potente simbolo della sua storia, il miracolo di un progetto fatto e finito senza che le lungaggini della burocrazia o dei fondi regionali lo abbiano ostacolato e oggi, infine, un potenziale tutto da sviluppare per farne la risorsa di una nuova prospettiva turistica ed economica: il Castello dei Conti di Modica, inaugurato lo scorso mese di ottobre e finalmente restituito alla fruizione della città, si presenta come una miniera di sconfinati tesori del passato che potrebbero divenire le solide fondamenta di un nuovo futuro, se solo si avessero davvero l’ambizione e la lungimiranza per riuscire a pensarlo.
L’architetto Salvatore Tringali, che insieme alla collega Rosanna La Rosa accettò nel lontano 2004 la sfida dell’allora sindaco Piero Torchi di mettere in piedi, in poco meno di un mese, un progetto innovativo per partecipare – vincendo – a un bando regionale per la riqualificazione delle aree interne, ci accompagna alla scoperta delle sale nuovamente tirate a lucido e destinate, se le si saprà gestire, a ospitare un Centro polifunzionale di alto livello, ma anche delle strabilianti scoperte che durante i lavori – e grazie agli scavi – sono state fatte dalla Soprintendenza, riportando alla luce almeno un pezzo delle innumerevoli stratificazioni che, dall’alto di questa rocca, custodiscono la testimonianza dell’intera storia della città.
“La forza del progetto grazie a cui abbiamo vinto il bando – ricorda l’architetto Tringali – è stata rappresentata proprio dall’utilizzo innovativo che abbiamo pensato di fare di questa struttura, immaginandovi all’interno un centro interculturale capace di realizzare una valorizzazione delle risorse economico-sociali del territorio”.
L’intervento ha riguardato per lo più il nucleo storico settecentesco del Castello dei Conti, su cui è stato fatto sia un lavoro strutturale sia, appunto, di integrale ripensamento degli spazi: “Abbiamo progettato – spiega Tringali – interventi mirati alla salvaguardia e alla conservazione del monumento-documento di interesse storico-artistico e al miglioramento sismico dell’intera struttura. L’aspetto della conservazione e del restauro, tema dalle molteplici sfumature di carattere filosofico, è stato trattato ponendo in primo piano il nucleo storico settecentesco, eliminando le superfetazioni che strutturalmente e architettonicamente non permettevano una fruizione estetica del manufatto. Pertanto, gli interventi di depurazione e ripristino hanno interessano una parte degli spazi del corpo nord prospiciente sul cortile del secondo livello, in cui erano presenti sovrastrutture in che deturpavano la spazialità e compromettevano la risposta sismica del manufatto edilizio”.
Oggi salendo verso il corpo centrale del Castello, si possono già cominciare a immaginare le potenzialità del suo utilizzo come Centro congressi di grande efficienza e bellezza: “Abbiamo fatto in modo – spiega ancora Tringali – di fare gli interventi e investire le risorse affinché tutti gli spazi fossero fruibili sin da subito. Abbiamo realizzato una sala grande per i congressi, affiancata da tre aule collettivi utilizzabili come sale studio, uno spazio utilizzabile come sala ricevimenti con una cucina d’appoggio che si affaccia anche sulle terrazze esterne, utilizzabili per lo stesso scopo. Dall’altra parte dell’immenso edificio, abbiamo realizzato un intervento diverso, creando degli spazi per uffici e le sale di rappresentanza dell’amministrazione comunale. Quella del sindaco, in particolare, l’abbiamo immaginata nell’ultima sala, che ha anche una piccola terrazza privata che si affaccia sulla città. In questo stesso lato dell’edificio abbiamo realizzato gli spazi per 3 suites di rappresentanza, da mettere a disposizione di ospiti illustri”.
Ma non finisce qui: l’intervento era mirato anche a riqualificare le aree esterne, attraverso gli scavi che sin dal primo momento sono stati immaginati per andare a fondo delle origini dell’edificio. “Non sapevamo – spiega l’architetto – cosa avremmo trovato, finché proprio alle spalle del castello sono emersi i resti del primo insediamento normanno, con le mura di una torre difensiva che è testimone importante della lunga storia di questo luogo per la città”. Il processo di scavo e ricerca, condotto dagli archeologi della Soprintendenza, mentre gli architetti si sono occupati di integrare nel progetto originario le strutture e i camminamenti per la valorizzazione e fruizione anche di questi spazi esterni, potrebbero proseguire ancora a lungo, ma ci vorrebbero ben altre risorse ancora. Lo stesso si può dire delle grotte sotto il costone roccioso che per la prima volta sono stata rese fruibili al pubblico attraverso altri sentieri, tracce di insediamenti abitativi fino al 1700.
“Va ricordato – dice Tringali, come aveva già scritto nel progetto originario – che l’area su cui sorge il castello venne utilizzata sin dall’epoca tardo antica (III- IV sec. d.C.) come necropoli: si possono ancora vedere sul versante occidentale delle tombe residue. Intorno al VII sec. d.C., la necropoli arretra più a nord verso il piano di S. Teresa, e lo sperone roccioso, su cui ora si erge il Castello, comincia ad essere utilizzato come acropoli. Nell’845 d.C., la rocca viene conquistata dagli Arabi che se ne servono, verosimilmente, come luogo d’avvistamento. Nel 1090 i Normanni arrivano a Modica e liberano la città dagli Arabi restituendola al cristianesimo. È molto probabile che siano stati proprio loro a costruire le prime mura di recinzione del castello e a dotarlo, come certificano questi ritrovamenti, delle prime torri. Dopo il dominio normanno, Modica, come tutto il resto della Sicilia, passa nelle mani degli Angioini e nel 1296 le nozze d’Isabella Mosca, figlia di Federico, con Manfredi I Chiaramonte sanciscono la nascita della Contea di Modica. In questo periodo il Castello diventa la sede privilegiata dei Conti che riuniscono sotto il loro potere una grossa parte della Sicilia orientale. Il dominio dei Chiaramonte continua fino al 1392 data in cui i territori in loro potere passano nelle mani di Bernardo Cabrera, giunto in Sicilia per rivendicare il dominio spagnolo sull’isola. Nel 1498 Anna Cabrera, ultima esponente della famiglia, sposa un Henriquez per permettere la continuazione della dinastia. Nel 1693 il terremoto distrugge gran parte del castello: dopo questa data non è più utilizzato come abitazione ma diventa, dal 1700 in poi, sede del presidio carcerario nella parte inferiore e del Tribunale nella parte superiore. Tanto il carcere quanto il Tribunale rimangono in questa sede fino al 1866. Dopo il Castello viene acquistato dalle sorelle Grimaldi, che lo donano alle Figlie della Carità dell’ordine di S. Vincenzo de Poli, facendone una Casa per l’infanzia abbandonata sino al 1975”.
Diversi sono i documenti storici che ci aiutano a ricostruire le vicende del cortile superiore e del corpo centrale, oggetto dell’attuale intervento: “Punto di partenza per la ricerca storica è il progetto per la ricostruzione del palazzo del governatore in un documento del 1783. Da questo documento si hanno riferimenti ben precisi per definire buona parte degli edifici che componevano l’articolato complesso edilizio del castello. Il nuovo edificio sarebbe sorto sopra le rovine, dovute al sisma del 1693, del vecchio palazzo del governatore. La casa del governatore era formata da 11 stanze, compresa cucina e anticucina con cisterna, tutte con soffitte a volta a canne e gesso, pavimentate con pietra di Scicli, esclusi la cucina e l’anticucina, pavimentate in pietra bianca. Le stanze erano sostenute da 11 dammusi le cui fondamenta poggiavano sulla rocca. Con il passaggio di proprietà alle Figlie della Carità il luogo fu adattato alla nuova funzione cui doveva assolvere. Nel 1884 sopra i due dammusi detti la stalla e la pagliera fu costruito un salonetto con soffitta. Nel 1917 le suore ricavano due stanze adibite a dispense alimentari e nello stesso anno l’intero edificio nel suo secondo ordine viene dotato di ben 8 servizi igienici. Per quanto riguarda l’esterno, le mura di cinta fornite di porte erano certamente antecedenti al terremoto, poiché ne dà notizia Placido Carrafa già nel 1654. Durante il XIX e il XX secolo, però, varie furono le opere di sistemazione della cinta muraria che si susseguirono”.
Discorso del tutto diverso è quello che riguarda il cortile inferiore, non interessato dagli interventi di restauro, su cui si affacciavano le carceri: “In questo caso il documento più importante è una relazione risalente al 1785, redatta da tale Antonio Montes, guardia carceraria del castello, consistente in un elenco abbastanza dettagliato dello stato di fatto delle carceri, distinte in carceri criminali, civili, per donne, per galantuomini e fosse. Nel medesimo cortile, oltre a tutte le carceri, c’erano le stanze per gli alabardieri e la cappella in un primo ordine, e poi la casa del castellano e i luoghi della cancelleria e persino la casa del boia. Sul cortile si affaccia oggi anche la Chiesa della Madonna del Medagliere costruita nel 1930 sotto richiesta delle Figlie della Carità”.
Adesso è probabile che sia il Comune stesso a cercare le risorse per farsi carico di un piccolo progetto per la fruizione degli spazi che si affacciano anche sul cortile inferiore – “Il primo piano sarà restaurato come museo di se stesso”, spiega Tringali – e dei sentieri che conducono fino alla torre dell’Orologio, simbolo della città.
Ma il tema più spinoso è quello che riguarda la gestione, che certamente meriterebbe competenze specifiche e capacità progettuali, manageriali e finanziarie ben al di sopra di quelle che può esprimere la Fondazione Teatro Garibaldi, a cui la Giunta municipale ha temporaneamente affidato la struttura. Di questa lunga storia di sovrapposizioni, insomma, bisognerà saper degnamente scrivere la prossima pagina.
Fonte: La Sicilia