A presiedere la messa per l’ultimo saluto a Marcello Perracchio è stato l’amico don Salvatore Frasca. Riportiamo il testo integrale dell’omelia.
“È impossibile ripercorrere in pochi minuti la personalità esuberante di Marcello. Per questo è stata un’ottima idea quella di riservargli un momento successivo nel nostro teatro che lui tanto amava. Un gesto dovuto al suo grande amore per il teatro e con cui ha ottenuto grandi successi e soddisfazioni.
Ma noi ora qui ricordiamo brevemente l’aspetto più riservato e personale, ma non meno importante e veritiero, della sua ricca personalità. La sua vita interiore ricca di umanità e di cordialità nelle relazioni con gli altri, motivo per cui si è fatto apprezzare ed amare da moltissime persone. Marcello visse gli anni della sua adolescenza all’oratorio salesiano di Modica assieme a molti coetanei del quartiere; il cortile, il teatro e la chiesa furono gli ambienti della sua formazione giovanile; incontrare gli amici, discutere, litigare, progettare in grande il proprio futuro, erano i motivi del ritrovarsi all’oratorio; e all’oratorio nacquero e si svilupparono le due componenti fondamentali della sua personalità: l’amore a don Bosco e l’amore per il teatro. All’oratorio, seguendo gli insegnamenti di don Bosco, imparò ad amare la pratica religiosa della comunione e della confessione; imparò ad amare i principi fondamentali dell’educazione salesiana, i valori del buon cristiano ed onesto cittadino, la devozione a Maria Ausiliatrice, ed in particolare l’affetto a san Domenico Savio che sentiva come un suo coetaneo da imitare. Nell’educazione salesiana san Domenico Savio, l’adolescente santo a 15 anni, rappresenta il simbolo della capacità di realizzare i sogni della propria vita con la forza della volontà, nonostante gli ostacoli che la vita riserva. E Marcello ammirava la tenacia e la costanza di questo adolescente per voler diventare santo a costo di qualsiasi sacrificio; che poi è il motivo per cui è conosciuto in tutto il mondo.
Dall’educazione salesiana imparò a vivere gli avvenimenti quotidiani con allegria ed entusiasmo. Avvicinarsi a Marcello significava fare il pieno di gioia e passione; significava imparare a misurare i fatti della vita con lo sguardo pieno di fiducia e speranza, caratteristiche che non lo hanno lasciato mai, anche nei momenti bui. L’oratorio gli permise di mettere le radici dalle fede cristiana, la fiducia in Dio, la preghiera personale non fatta di parole ma sfogo del cuore appassionato nel dialogo con Dio, la messa domenicale ogni qualvolta gli impegni professionali glielo permettevano. All’oratorio si formò il suo carattere esuberante e cordiale con gli amici e i compagni di gioco, soprattutto nelle recite teatrali che in occasione di ogni festività non mancavano mai. Non volle staccarsi totalmente dall’oratorio; da adulto si iscrisse all’associazione degli ex allievi salesiani, associazione che non lasciò mai e di cui andava fiero; non mancava mai agli incontri annuali, se era libero dagli impegni professionali. E lamentava, con tono accorato, il fatto che i giovani di oggi avevano perso la bussola e non avevano più ideali e spirito di sacrificio. E ne aveva anche per i salesiani; spesso chiacchierando ci rimproverava perché avevamo abbandonato i giovani e trascurato gli oratori. Più volte ho dovuto dissuaderlo dallo scrivere al superiore a Roma a cui voleva manifestare il suo disappunto. Ma erano sfoghi affettuosi di un nonno burbero e permissivo. Ed ogni anno, quando gli impegni professionali glielo permettevano amava incontrare i vecchi amici a ricordare i momenti allegri e spensierati della vita oratoriana. Esuberante e pieno di vitalità, mai l’ho sentito vantarsi dei successi teatrali e cinematografici; sapeva essere semplice e mai vanaglorioso.
Altra componente fondamentale della sua vita interiore era la capacità di tornare alle radici della fede cristiana. Appena aveva la possibilità mi telefonava perché voleva venire a trovarmi. Giunto in ufficio, dopo i saluti abituali, con voce imperiosa tuonava: adesso mi confessi e mi dia l’assoluzione. Di colpo cambiava il tono imperioso, diventava sereno, calmo e svelava la sua natura di credente bisognoso della purificazione interiore. Sentiva la necessità di avere una carezza divina mediante la confessione! E allora comprendiamo san Paolo che nella seconda lettura ci ricorda che per coloro che amano Dio tutto concorre al bene personale e spirituale e che nulla ci può separare da Lui, né la tribolazione né la malattia né la morte.
Caro Marcellino, come amavo chiamarti e che gradivi molto, diceva don Bosco che quando un giovane entra in una casa salesiana, Maria Ausiliatrice lo mette sotto il suo manto e, se nella vita non ci si dimentica di Lei, sarà Lei ad accoglierci in paradiso. E sono convinto che è Lei che ti ha accolto assieme a don Bosco e a san Domenico Savio ad entrare nella gioia eterna del paradiso”.