Tra paura e coraggio, tra Manchester e Capaci

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Si chiamava Saffie Rose e aveva solo otto anni. È lei la più piccola delle vittime di Manchester, saltata in aria alla fine di un concerto. Ed è per sentire il suo nome, al giornale radio, che ti ho chiesto di tacere, Filippo. Scusami. Perdonami, figlio mio. Che come Saffie hai 8 anni e quella curiosità innocente negli occhi, con cui mi chiedi, domandi, interroghi.

E scusami anche per il silenzio che poi è sceso tra noi. Scusami per aver permesso che le notizie dettagliate e crude dell’ennesimo attentato ci spogliassero il cuore, ricoprendoci con un velo di tristezza e paura.

Ecco, appunto: la paura. Della paura mi stavi domandando… Mi stavi chiedendo se anche un eroe come Falcone ne provasse, nel suo lottare giorno dopo giorno contro la mafia. E se pure Paolo Borsellino ne aveva. Lui che – come sta scritto nel libro Io, EmanuelaAgente della scorta di Paolo Borsellino di Annalisa Strada che mamma ti ha letto nelle settimane scorse – il 23 maggio del 1992, dopo Capaci, dopo i 500 kg di tritolo che spappolarono il suo amico Giovanni, aveva capito di essere la prossima vittima designata.

E allora, perdonami Filippo se la mia risposta ti arriva solo oggi: ci ho voluto riflettere un po’ di più. E perdonami anche per il fatto che la risposta che ti sto dando è affermativa.

Eh sì, bambino mio, Falcone e Borsellino avevano paura. La provavano ogni giorno. Ogni notte. Ed era la paura di morire, naturalmente. Di lasciare i loro affetti e i loro amici. Ma – ancor di più, credo – era anche paura di non poter portare a termine il lavoro che con coraggio avevano intrapreso.

Perché non c’è uomo che non provi paura. Anzi, non c’è eroe che ne sia immune. Di più, un eroe – come Falcone, come Borsellino – è tale proprio perché la paura la prova ma la supera. Ci convive e la sa usare, a proprio vantaggio. Perché il segreto, figlio mio, sta proprio lì: nel provarla e nel vincerla. Senza cioè lasciarsene sopraffare. Senza lasciare cioè che la paura ti faccia girare lo sguardo da un’altra parte. Senza lasciare cioè che prenda il controllo dei tuoi pensieri e dei tuoi gesti. E andare avanti, magari stringendo i denti, a fare ciò che sei chiamato a fare: per lavoro, per dovere, per missione, per etica. Ti capiterà di leggere, qua e là, in rete, riscritta anche a sproposito, questa frase di Falcone: «L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza».

Ma quest’eroe siciliano diceva anche che il coraggio sta «nell’impegno del quotidiano». E allora, piccolo, a 24 ore dalla ricorrenza del suo sacrificio, a 36 ore dalla strage di Manchester, mi piacerebbe parlarti anche di questo. Del coraggio “dell’impegno del quotidiano”, che è davvero alla portata di noi tutti non-eroi. Concentriamoci sul giorno dopo giorno, su ciò che ciascuno può (anzi, deve) fare: perché è giusto farlo; perché le cose si cambiano (anche) a forza di piccoli gesti quotidiani; perché si può addirittura impedire – con l’impegno quotidiano – che qualche altro, da eroe, si butti addosso le mancanze di una comunità intera e diventi una vittima sacrificale.

Vedi che “l’impegno del quotidiano” è fatto di cose piccole, minute, ma coraggiose. Straordinarie nella loro normalità. È “impegno del quotidiano”, oggi, pareggiare sulla bilancia il peso dei propri diritti e quello dei propri doveri, per esempio. Ma è anche non tacere e non voltare lo sguardo davanti alle ingiustizie. È af-fidarsi alle autorità perché quelle ingiustizie vengano perseguite e punite, senza “arrogarsi il diritto” di fare da soli.

È “impegno del quotidiano” leggere, studiare e in-formarsi prima di scegliere chi eleggere in consiglio comunale, alla Regione, in Parlamento. Sceglierlo con coscienza vuol dire non usare il metro del tornaconto. Vuol dire votare qualcuno perché incarna certi valori e una visione del mondo comuni ai tuoi: senza cioè scambiare i diritti con i favori, senza scambiare il voto per una cambiale, senza scambiare le promesse per debiti. Scegliere con coscienza vuol dire anche non votare chi cavalca le tue paure per i propri interessi, ma chi alle tue paure cerca di dare equilibrio, argine e risposte.

Ma per poter esercitare il diritto di chiedere, “l’impegno del quotidiano” prevede anche il dovere di dare. Per dire: dare conto dei propri guadagni, pagando le tasse e le imposte. Dare, per esempio, alla badante i soldi pattuiti e un contratto regolare. Dare rifugio e accoglienza a chi fugge da guerra e povertà e rischia la vita per poterne vivere una in maniera anche solo un po’ più degna e meno pericolosa. Significa dare al proprio lavoro il valore giusto, perché sia retribuito alla luce del sole e non in nero. Dare a certe date, a certi avvenimenti e a certi personaggi il gusto della memoria, perché le piante del futuro crescano con le radici del passato.

Infine, “l’impegno del quotidiano”, Filippo mio, è sentirsi parte di una comunità, è vincere la paura di mettersi in gioco e la pigrizia da divano (e da tablet), per interessarsi della cosa pubblica. Ed è, soprattutto, considerare che lo STATO SIAMO NOI cittadini.

Basta così, Filippo, altrimenti finisco che le idee te le confondo. L’augurio allora è che, insieme ai tuoi coetanei, tu possa costruire la prossima comunità partendo “dall’impegno del quotidiano”. Per avere qualche eroe in meno da piangere, un giorno. E avere tanti uomini in più, capaci di convivere con la paura e di fare con coraggio la cosa giusta.