CHIARO
Stereotipi e preconcetti vari sull’andare dallo psicologo sono noti da tempo a chi è del settore: battute ironiche, pagine internet e sui social, interamente dedicate a raccogliere le migliori (o peggiori) freddure di gente comune che dice la sua, a volte con una certa dose di ‘non conoscenza’, su una professione in cui di certo non ci s’improvvisa.
“Ognuno deve riuscire a superare i propri problemi da solo”
“Io sono lo psicologo di me stesso”
“Lo psicologo cura i matti ed io non lo sono!”
“Se si entra in psicoterapia, se ne esce solo dopo tanti anni!”
Queste alcune delle frasi generiche e, ancora, andando più nello specifico, chi svolge tale professione si ritrova spesso a sentire anche qualcosa tipo: “Dottoressa, ma perché ha affisso la targhetta con la professione fuori dal portone del suo studio? Ogni volta prima di entrare prego che non mi veda nessuno…”
SCURO
Ebbene, a tutto ciò ci si abitua già fin dai primi anni dall’abilitazione, s’impara progressivamente a lasciarsi scivolare tutto, almeno fino a che non si arriva ad un limite: il limite è segnato da storie di disagio profondo che si sarebbero potute evitare, se solo ci fosse stato un intervento tempestivo che, checché se ne dica, è un intervento tecnico e professionale.
È inaccettabile, al giorno d’oggi, per esempio, che genitori e adulti in genere sminuiscano ancora le problematiche dei loro figli senza averne alcuna contezza e, in molti casi, senza conoscerne o tentare di capire a fondo il reale malessere dei propri figli o, nei casi peggiori, senza sapere nulla sulle loro abitudini (utilizzo smodato di sostanze psicoattive, in primis).
È impensabile che a oggi, in generale, chi sente di avere un disagio ricorra a un professionista solo quando arriva alla disperazione, confessando tutte le sue ritrosie e le convinzioni che lo hanno frenato, addirittura temendo di essere ‘plagiato’ o indirizzato relativamente a una specifica scelta di vita.
Ebbene, lo psicologo non orienta la persona nel compiere scelte, ma supporta e favorisce un incremento del livello di consapevolezza. Non ‘trattiene’ in psicoterapia per anni, ma sostiene la persona per il tempo necessario, con l’obiettivo di renderla autonoma.
C’è poi l’aspetto economico da considerare: di certo andare da un professionista privato non è cosa da tutti, ma esiste anche il servizio pubblico, una volta superati ulteriori preconcetti del tipo: “Nel pubblico non c’è privacy!” o “I professionisti gratuiti non sono bravi”.
Lungi dal generalizzare, se non si ha effettivamente la possibilità economica di far ricorso a un professionista privato, si potrebbe perlomeno evitare di fare di tutta l’erba un fascio e, almeno, testare personalmente…
Non parlerò di certo di coloro che non hanno soldi da ‘buttare’ per un supporto psicologico, ma piuttosto preferiscono investire il loro denaro in oggetti inutili (shopping compulsivo), sostanze (dall’alcol alle variegate sostante psicotrope in circolazione anche dalle nostre parti…) o nei sistemi di scommesse online, ecc…
Menzionerò, piuttosto, tutta quella sofferenza che potrebbe essere evitata, se solo talvolta si intervenisse per tempo o se solo si ascoltasse più pienamente l’altro.
Se poi si osserva la situazione a livello più generale, si sa, i fondi scarseggiano, i tagli aumentano… E così i servizi rivolti al sociale vengono sempre più dimezzati. A pagarne le conseguenze sono, di certo, le nuove generazioni su cui s’investe, quindi, sempre meno…
Le conseguenze non rendono felici nemmeno quegli psicologi che sembrerebbero non rischiare di restare senza lavoro: i casi che si presentano negli studi, privati e pubblici, sono sempre più gravi e incistati, e i ‘miracoli’ richiesti, in quei casi, necessitano di maggiore tempo e, paradossalmente, anche di più denari da investire, per la serie: “A volte per risparmiare in salute psichica, si spende il doppio”…