Quattro religiosi, due donne e due uomini. Congregazione diverse, ma un ‘denominatore’ comune: missionari. Insieme a Modica per accompagnare, facendo anche una sorta di ‘mediazione culturale’, i migranti che, a migliaia, sbarcano a meno di venti chilometri di distanza, al Porto di Pozzallo. Anni di esperienza missionaria in giro per il mondo, ora la missione è tra chi arriva in questa terra, in fuga dalla fame e dalla guerra. Formano da un anno la prima comunità missionaria intercongregazionale mista, e sono già ben radicati nel territorio.
L’idea ha radici lontane. Nel febbraio 2013, gli Istituti Missionari in Italia organizzarono a Trevi un Forum per riflettere insieme come “Educare ed educarsi alla Missione”. Tra le dieci parole che componevano il documento conclusivo del Forum, due in particolare emergevano come novità: lavoro intercongregazionale in stile di comunione e rapporto con gli stranieri immigrati in Italia tramite contatti personali. La prima idea fu quella di costituire una comunità a Lampedusa: proprio nell’ottobre del 2013 il naufragio con un’ecatombe nel cuore del Mediterraneo. Questa idea, però, fu accantonata quasi subito: Lampedusa era un luogo di arrivo, i migranti vi rimanevano ben poco, chiusi nei centri di accoglienza. L’obiettivo rimaneva, però, la Sicilia, terra di migrazioni vecchie e nuove.
A novembre del 2015 padre Gianni Treglia, missionario della Consolata, e suor Giovanna Minardi, missionaria dell’Immacolata, già destinati a tale progetto, si sono stabiliti proprio in Sicilia, soprattutto per continuare a conoscere la realtà dell’immigrazione in questa regione e presentare il progetto degli Istituti Missionari. Durante questo percorso di conoscenza, la diocesi di Noto ha manifestato grande interesse verso questa nascente comunità, aprendole le “porte” della sua vita ecclesiale. Nel frattempo, l’invio di altri due missionari, padre Vittorio Bonfanti, missionario d’Africa, e suor Raquel Soria, missionaria della Consolata, hanno completato la comunità, composta così da due sacerdoti e due religiose.
Il 15 marzo 2016 la comunità si è stabilita nella casa attigua al Santuario della Madonna delle Grazie, a Modica, messa a disposizione dal parroco e dalla diocesi. La comunità è accompagnata dai collaboratori della Caritas diocesana, così come di Migrantes e Centro Diocesano Missionario. Oggi i missionari lavorano instancabilmente. L’esperienza di missione, la conoscenza di varie lingue (suor Giovanna parla il cinese, padre Vittorio la lingua bambara, suor Rachele swahili e lo spagnolo, solo per citarne alcune), rappresentano ‘canali’ privilegiati per entrare in contatto con i migranti arrivati in Italia.
Padre Vittorio Bonfanti, dei Missionari d’Africa o Padri Bianchi, per tantissimi anni ha vissuto in Mali, una nazione nell’Africa Occidentale grande quattro volte l’Italia. Lì i musulmani sono l’85 per cento, i cristiani appena il 2 per cento. Proprio quella lingua imparata in Mali rappresenta un ‘ponte’ con chi, arrivato lungo le coste siciliane, non riesce a comunicare. «Sono andato in una comunità che accoglie migranti – spiega don Vittorio -. C’era una donna che se ne stava sempre seduta, in silenzio, testa bassa. Quando sono arrivato ho parlato la sua lingua, lei si è alzata, mi ha sorriso: è stato come se se riprendesse a vivere». A volte, però, non c’è bisogno di conoscere l’idioma parlato dal migrante, basta solo la consapevolezza di chi conosce la potenza dell’amore.
Don Gianni racconta: «Una volta sono andato in ospedale. C’era un ragazzo ricoverato da più di due mesi: come nome, era stato riportato ‘ignoto’ e un numero. Sono entrato in stanza, pochi minuti dopo sono uscito e ho dato al personale dell’ospedale il nome e alcuni dati del ragazzo. Che lingua ho parlato? Nessuna. Gli ho detto come mi chiamavo, gli ho sorriso, e ho parlato con lui». Padre Gianni Treglia è salentino di nascita. Nel 1995, dopo l’ordinazione sacerdotale, la partenza per la Tanzania, fino al 2011. Poi alcuni anni di animazione missionaria prima di arrivare a Modica. Ha un desiderio, e lo realizzerà, se ne può star certi: un centro giovanile per minori a Pozzallo. «Spesso – spiega – arrivano dei ragazzi, molti dei quali senza genitori. Dovrebbero rimanere nell’Hot Spot pochi giorni, ma quasi sempre restano anche per qualche mese. E allora ci vuole un luogo dove possano giocare, dove possano imparare un po’ d’italiano. Soprattutto un luogo dove possano confrontarsi con i ragazzi di Pozzallo».
Suor Giovanna Minardi ha passato mezza vita in Asia: 21 anni a Hong Kong e 4 in Cina. Per le vie di Modica la conoscono in tanti, soprattutto i numerosi cittadini stranieri che seguono i suoi corsi d’italiano. «Ci siamo accorti – dice suor Giovanna – che ci sono diverse persone che vivono qui anche da vent’anni, ma non parlano una parola d’italiano. La scuola allora diventa un’occasione importante per poter comunicare e confrontarsi, ma anche un luogo dove incontrarsi. Al mattino, quando vado a messa, tanti bambini mi corrono incontro e mi abbracciano. Questo è davvero bellissimo. E cresce il numero di chi vuole seguire i corsi, tanto che li stiamo attivando anche in un’altra zona della città».
Quello di suor Rachele Soria è davvero un ‘giro del mondo’. Argentina d’origine, per tanti anni in Kenya. Coi bambini e i ragazzi abbandonati e abusati, con gli adolescenti sfruttati, con i carcerati abbandonati. Ora qui, a Noto, dove c’è una struttura carceraria, vuole rendersi presenza concreta dell’amore di Dio e dei fratelli con quanti vivono la condizione della limitazione della libertà personale. Soprattutto i migranti. «Nella mia esperienza – dice suor Rachele – ho visto come i carcerati di origine straniera vivano una condizione di doppio svantaggio. C’è uno scarso intervento di mediazione culturale. Nei penitenziari italiani ci sono solo 28 mediatori in tutto, e le carceri sono circa duecento. Ecco perché voglio andare lì, per fare attività con loro, per portare la mia testimonianza». Quattro storie, quattro tipi di formazione per alcune ‘sfumature’ differenti, ma un solo pensiero: «Partire dalla relazione. Questo – spiegano – è davvero fondamentale. Lo facciamo portando la nostra testimonianza, le nostre vite, il nostro amore».
La presenza nelle comunità dove vengono accolti gli stranieri che arrivano in Italia è una costante preziosa. «Qualche giorno fa – spiega don Gianni – ci hanno chiamato le Suore Salesiane, che da poco ospitano i migranti. Una ragazza non parlava con nessuno, aveva difficoltà a confrontarsi. È andato uno di noi che conosce la sua lingua, e si è instaurato un dialogo». Non manca l’aspetto della preghiera. «Abbiamo organizzato dei bellissimi momenti di preghiera comuni – dicono i quattro missionari -. Abbiamo pregato tutti insieme, cristiani, buddisti, musulmani. Sono stati momenti davvero intensi, che ripetiamo periodicamente». La comunità collabora con le attività della Caritas, come il Progetto ‘Presidio’. Nei giorni scorsi, per celebrare il primo anno di presenza a Modica, si è tenuto un incontro alla ‘Casa don Puglisi, una delle opere caritative raccordate con la Caritas diocesana.
Un momento di confronto con le mamme e gli operatori della ‘Casa’. «La cosa più spontanea – ha detto il direttore della Caritas diocesana, Maurilio Assenza – è stata quella di vivere questo primo anno nella nostra Casa. Abbiamo pensato di essere tutti insieme: le nostre mamme non mancano, la prima parte della Casa sono loro, e poi i giovani del servizio civile. Quello che c’è qua, va ricordato, non è stato costruito da noi, ci è stato donato da Dio: spero che questo si conservi come l’aspetto più importante. Raccontiamo ciò che ci è accaduto a partire dai doni di Dio».