Chiese e turismo, la ‘figuraccia’ di Dario Gulino e la ‘misericordia’ di padre Peppino

26

Don Giuseppe Antoci, padre Peppino per tutti, è uomo di Dio e allo stesso tempo di scienza e di cultura. 

Avrebbe potuto rispondere con toni ben più accesi, ma ha preferito una precisazione semplice ed efficace. 

Altro che ‘pizzo’ dato alla chiesa locale, quei 45mila euro sono briciole, ma buone due volte.

La prima, in termini collettivi, perché permettono di tenere aperti beni culturali per la fruizione di migliaia e migliaia di visitatori. 

L’altra, nobilissima pure, perché dà ‘qualcosa’ per alcuni mesi, a ben 18 disoccupati della città. 

Evidentemente, però, Gulino se ne infischia delle migliaia di turisti che vengono ad ammirare il barocco. Meglio sole e mare, porto e spiagge. 

E dei 18 disoccupati che percepiscono un piccolo contributo in cambio di un servizio? Che sarà mai!

Quei soldi, va ricordato, provengono dalla tassa di soggiorno: soldi dei turisti, insomma, gli stessi che vogliono visitare le chiese più belle anche in orari in cui non ci sono celebrazioni.

Padre Peppino, che è misericordioso, come dicevamo, non ha voluto infierire. Avrebbe probabilmente potuto ricordare, a Gulino, il consigliere che fa parlare di sé più per le sortite che per le proposte in aula, che quanto da lui scritto è un po’ come le scie chimiche: non sta né in cielo né in terra. 

Le chiese che costituiscono la gran parte del nostro patrimonio culturale, infatti, non le ha costruite il Comune: le hanno realizzate i ragusani coi propri soldi, in terreni spesso donati da privati: monumenti innalzati dalla fede e dalla tradizione del popolo.

Lo chieda, poi, ai Romani se vogliono farsi fuori il Vaticano, con la sua manna dal cielo di turisti da tutto il mondo pronti a pagar fior di quattrini per una camera con vista Cupolone!

Se poi vorrà puntare il dito su un punto assai delicato, quale quello della laicità, con temi come il fine vita o i diritti civili, che ben venga: parli con quelli del suo partito, prima, con il Beppe nazionale in persona. Basteranno i giornali, e non un libro di storia, a ricordare cos’accadde quando si arrivò in aula per le unioni civili.