Su The Observer, edizione domenicale del The Guardian, è stata pubblicata un’inchiesta del giornalista Lorenzo Tondo con foto di Fran Commi sullo sfruttamento delle donne rumene nelle campagne della provincia di Ragusa.
“Di giorno – scrive nella sua pagina facebook il giornalista – schiave nelle serre per due euro all’ora. Di notte costrette a subire abusi sessuali dai loro datori di lavoro, pena il loro licenziamento. Tra queste, la testimonianza di Nicoleta: da padre di un bambino di 3 anni, non è stato semplice ascoltare una donna, mentre allatta la sua bimba di appena 5 mesi, raccontare gli abusi che è stata obbligata a subire dal proprietario delle serre per cui lavorava, costretta a compiacerlo su ordine dell’ex marito. Buon 8 marzo, in ritardo di 4 giorni, sperando che questa inchiesta possa portare a qualcosa di buono”.
Un ampio reportage, con interviste anche a chi lavora sul ‘campo’, come la cooperativa Proxima e ancora Peppe Scifo della Cgil.
Ne viene fuori un panorama drammatico. Ora quelle storie fanno il giro del mondo (la notizia è stata ripresa anche dalla stampa rumena).
Un fenomeno complesso, donne e bambini che vivono nel limbo dell’abbandono e dello sfruttamento.
In quelle campagne dove spesso prevale ancora una logica padronale, dove il lavoratore non ha alcun diritto. Un Ottocento che non vuol mai finire, con la donna costretta a pagare il prezzo più alto.
Spesso schiava due volte: del marito prima e del datore di lavoro dopo. O anche insieme, dell’uno e dell’altro, ciascuno esercitando, nel modo più barbaro, il ‘potere’ nei modi più disparati, con il comune denominatore della minaccia: se non fai così…
Il fenomeno della violenza sessuale c’è, è innegabile. Gli aborti di donne rumene sono in numero elevatissimo.
Ma ci sono altre forme di violenza, più subdole, parimenti disgustose, da parte di chi paga (una miseria), e comanda: seduto in estate ad ammirare la propria lavoratrice-oggetto-proprietà mentre lavora in canotta.
Magari la sfiora, le ‘ricorda’ chi comanda e che deve star zitta e obbedire.
Istantanee da un mondo a parte, quegli invisibili che non vogliamo vedere. E a poco serve dire che non è per tutti così la vita ‘sospesa’ tra serre e casupole fatiscenti.
Il reportage del giornale britannico ‘fotografa’ diversi aspetti di questo fenomeno, forse non tutti. Ma può essere davvero, come auspica lo stesso cronista, foriero di “qualcosa di buono”, per quelle donne, per i loro figli, per i tanti sfruttati di questa nostra terra.
Ecco il link per leggere l’articolo del quotidiano inglese.