“La violenza di genere. I mille volti di un fenomeno che è nato insieme all’uomo”. È il titolo della tesi con la quale la giornalista Valentina Frasca, lo scorso 21 dicembre, ha conseguito la Laurea in Scienze della Comunicazione con il voto di 110 su 110 e lode.
Un importante traguardo personale, con un lavoro di ricerca legato a doppio filo con la sua attività professionale. Ai temi della violenza sulle donne e all’impegno di associazioni che si occupano di dare concrete opportunità di uscire da situazioni di sfruttamento e sopraffazione, Valentina Frasca dedica buona parte del proprio impegno. Un lavoro di ricerca che parte da lontano, con un approfondimento in campo scientifico e in quello socio-culturale, religioso e antropologico, con un paragrafo dedicato alla ‘Storia della nascita di una cultura maschilista’. Particolarmente interessanti risultano il secondo e terzo capitolo, che entrano nel ‘cuore’ del problema, riportando esperienze di vita personale, ma anche di associazioni che, a vario titolo, operano contro la violenza di genere in Italia.
Proprio il terzo capitolo, ‘Le esperienze e le protagoniste: la lotta, la morte e la speranza’, rappresenta un’interessante (e utile) lettura in particolar modo per chi, dai giornalisti agli operatori socio-sanitari fino alle forze dell’ordine, si trova faccia a faccia con drammi del genere.
Abbiamo proposto alla collega qualche domanda sulle motivazioni di questa scelta.
“Non ci ho messo molto a decidere quale argomento affrontare nella mia tesi. C’erano molte idee confuse nella mia testa, ma nel momento in cui si è trattato di scegliere, le nebbie si sono diradate all’istante. La tesi è il passo conclusivo di un importante percorso di crescita formativo, personale e culturale, e non puoi non sentirla tua. Io sono sempre stata molto sensibile ai temi della violenza di genere e della lotta agli stereotipi, ma dal 2013 ho iniziato a studiare seriamente tali problemi, ho raccolto richieste di aiuto, ascoltato le vittime, analizzato le dinamiche, ho compreso quanto tutto sia complesso e intrecciato al tessuto sociale attuale, ma con radici talmente profonde da perdersi nella notte dei tempi, e da ricercare tanto nel lungo cammino della nostra evoluzione quanto nella sfera religiosa. Nella tesi ho cercato di sintetizzare tutto questo, anche se, riflettendoci a distanza di mesi, mi rendo conto di quante cose mi siano sfuggite. Del resto, è un argomento molto ampio, e chissà? Magari ci tornerò un giorno nella mia tesi della specialistica!”.
Il tuo impegno quotidiano du questi temi, in campo professionale e personale, è sotto gli occhi di tutti, nel vero senso della parola, come può ‘testimoniare’ chi ti segue sui social o sui media ‘tradizionali’.
”Il mio cammino, come accennato, è iniziato nel 2013 perché è stato l’anno in cui, sulla mia strada, ho trovato Donne a Sud. Era l’8 marzo, ero tornata a vivere a Vittoria da poche settimane, dopo sei anni a Modica, e insieme ad altri colleghi sono stata chiamata a presentare l’evento organizzato in occasione della Giornata Internazionale della Donna (per me non è una “festa”). Ho conosciuto la presidente Sabrina Mercante e l’avvocata Rossana Caudullo, abbiamo scambiato quattro chiacchiere ed è subito scattata la scintilla, che, trovando terreno fertile, è diventata immediatamente incendio. Finalmente non stavo alla finestra, ma nel mio piccolo potevo fare qualcosa per aiutare le donne a lasciarsi l’incubo alle spalle e, in primis, a prenderne consapevolezza. Perché tutto parte da qui: come ho scritto anche nella tesi, non sono rari i casi in cui, anche di fronte alle violenze fisiche e sessuali, che sono palesi più di quelle psicologiche ed economiche, la donna non si renda conto di essere vittima. Donne a Sud offre consulenza legale e psicologica gratuita; io, che non ho competenze specifiche da questo punto di vista, non ho quindi un ruolo di primissimo piano all’interno del centro antiviolenza; mi occupo, però, di comunicazione, e ci metto il nome e la faccia. In molti sanno del mio impegno e mi vedono come un tramite, il primo punto di riferimento quando vogliono chiedere aiuto o conoscono qualcuno che vuole farlo, tutto ovviamente nel pieno rispetto della privacy.”
Una buona parte della tesi è dedicata a esperienze concrete…
“Da giornalista, ho pensato che non avesse molto senso parlare del fenomeno a 360 gradi, partendo addirittura da 4,5 milioni di anni fa, senza poi dare voce alle vittime e ai loro cari, senza cioè entrare nel vivo del problema. L’ho visto quasi come un tributo per chi oggi non c’è più, caduto in una insensata guerra dei sessi, e, con l’ultima storia, quella di ‘Giada’, come un messaggio di speranza per far capire che sopravvivere e andare avanti si può e si deve. Ho interpellato il Centro Ascolto Uomini Maltrattanti di Ferrara per capire meglio “l’altra metà del cielo”, e scoprire come aiutare i carnefici che si rendono conto di avere imboccato una strada senza ritorno in cui la violenza è la normalità. Ho contattato Vera Squatrito, conosciuta in occasione di un evento commemorativo della figlia Giordana Di Stefano, per farmi raccontare la sua Giordy più autentica e capire quale assurdo iter possa aver portato questa splendida ragazza dall’amore, alla maternità, alla morte nel giro di una manciata d’anni. Eros e Thanatos, l’uno la negazione dell’altro eppure spesso così vicini, anche nella storia dell’ ‘amore nero’ di Stefania Noce. Lei era molto simile a me, combatteva per valori che sono anche i miei, scendeva in piazza e si spendeva per cause che ho sposato pure io. E’ stata ammazzata nel 2011, e io l’ho conosciuta prima attraverso le cronache e poi sfogliando le pagine del libro di Serena Maiorana “Quello che resta”. Stefania vive ancora oggi grazie all’associazione SEN, di cui ho voluto intervistare la presidente. Infine, naturalmente, le domande all’avvocato e alla psicologa di Donne a Sud: Rossana Caudullo e Deborah Giombarresi, perché solo se conosci a fondo il problema puoi metterti in mano gli strumenti e le armi per combatterlo”.
È appena iniziato un nuovo anno. Cosa vorresti da questo 2017?
“Ho chiuso il 2016 nel migliore dei modi, coronando un sogno coltivato per anni e che per molti è quasi un traguardo scontato ma che per me, per una serie di motivi, non lo è mai stato. Nel 2017 spero di proseguire su questo solco, concretizzando quanto ho già ben chiaro in mente. Inseguire i nostri sogni non è facile (accontentarsi lo è decisamente di più) ma credo sia l’unico modo per vivere e assaporare appieno la vita che ci è stata donata, traendone i giusti insegnamenti. Inoltre, tornando al discorso della violenza, spero che possa essere l’anno che aiuterà tutti a prendere definitivamente coscienza del problema. Milioni di donne hanno subito, e stanno subendo anche in questo preciso momento, mentre io scrivo e voi leggete, una qualche forma di violenza. La sensibilizzazione non dà i suoi frutti immediatamente, ma pian piano il messaggio passa. Più siamo, più forti diventiamo. Vorrei quindi che ci fosse un risveglio delle menti e delle coscienze, vorrei luce sul sommerso (perché i dati che abbiamo a disposizione sono solo la punta dell’iceberg), vorrei più partecipazione e meno timore e rassegnazione, ma soprattutto vorrei che tutti, uomini e donne, la smettessimo di pensare “tanto la cosa non mi riguarda e non riguarda nessuno che conosco”: cominciamo a guardarci intorno e ad essere più ricettivi ai segnali di allarme, perché una donna uccisa ogni due giorni e mezzo non può essere un dato che lascia indifferenti. Inoltre, da neo dottoressa in comunicazione, non posso non augurarmi che il 2017 sia l’anno del cambiamento anche nel mio settore. Vorrei non dover più leggere titoli del tipo “L’ha uccisa per troppo amore”, “Temeva di perderla, l’ha accoltellata”, “Lei lo lascia e lui la prende a martellate”: la presa di coscienza collettiva parte anche da qui. Gli operatori dell’informazione abbiamo un potere immenso: usiamolo bene, veicoliamo i giusti messaggi nel giusto modo, non scriviamo frasi ad effetto solo per attirare qualche click, ma che includono già una mezza giustificazione. Infine, mi piacerebbe che questo processo di risveglio collettivo riguardasse anche le Istituzioni affinché si rendano conto di quanto importanti siano i CAV (centri antiviolenza). La maggior parte di essi, incluso il nostro, si autofinanziano, e credo sia arrivato il momento di dare un aiuto reale a chi, avendo studiato e sviluppato competenze professionali specifiche, si trova costretto ad operare solo come volontario, e quindi nei ritagli di tempo”.