Nell’incotro tenutosi giovedì tra i vertici locali e nazionali della Colacem s.p.a. e le segreterie di Cgil, Cisl e Uil e gli autonomi Ias si è discussa la necessità di aprire un periodo di cassa integrazione per i lavoratori dello stabilimento di Ragusa pari a 13 settimane a partire dal 3 dicembre prossimo.
“I dati relativi al settore cementiero, a detta delle parti interessate, sono pressoché sconcertanti. Difatti – spiega Gianni Nativo dell’Isa – un’ulteriore calo del 5% nel 2016 per l’intero settore su scala nazionale e un progressivo calo sulle esportazioni, hanno costretto l’azienda, stremata da anni di continue manovre atte al mantenimento dei siti produttivi siciliani di Ragusa e Pozzallo, a considerare ancora una volta la cassa integrazione come extrema ratio per fare fronte ad uno stallo settoriale di portata storica.
I due cementifici che, insieme a quello di Galatina in Puglia, coprivano una fetta di mercato estero pari quasi al 40% dell’intero export nazionale, in questo momento hanno stoccato quantità tali da non potere più mantenere in marcia gli impianti.
Il 2017, stando alle analisi degli esperti del settore, non dovrebbe essere foriero di novità positive ma di una ulteriore razionalizzazione nella quale la Colacem di Gubbio rimane attestata sulle precedenti quote di mercato, mentre i diretti competitori sono impegnati in uno spietato girotondo di acquisizioni e dismissioni di importanti fette di mercato.
L’importante in questo momento, così come spiegato dai vertici della società eugubina, è rimanere attestati su una produzione non inferiore al 50% del potenziale di ciascun stabilimento e il sacrificio richiesto ai lavoratori del ragusano si ricolloca nello spirito stesso dell’ammortizzatore sociale richiesto.
La cassa integrazione infatti dovrebbe dare il respiro necessario allo smaltimento del surplus produttivo accumulato negli ultimi mesi.
Si è discusso inoltre del valido contributo che l’eventuale uso di CSS (combustibile solido secondario: è un’evoluzione del vecchio CDR) nei due cementifici della provincia iblea, in parziale sostituzione dei combustibili tradizionali, potrebbe portare oltre che all’industria cementiera anche ai livelli occupazionali ed ai criteri di difesa dell’ambiente. Purtroppo la miriade di regolamenti locali, la burocrazia e non ultima la discorde opinione di esperti e associazioni legate all’ambiente, non permettono di utilizzare in maniera ottimale quella che da annoso ed insoluto problema per le amministrazioni ed i cittadini, potrebbe invece diventare una risorsa, non solo per l’industria del cemento ma anche, come accade nel nord Europa, una nuova risorsa energetica. A questo proposito è utile rammentare che addirittura Legambiente si era espressa nel 2015 in una importante nota, cercando di sensibilizzare la classe politica affinchè i falsi miti sull’uso di questa opzione ad uso energetico dei rifiuti urbani venisse considerata come valida alternativa all’uso di nuovi e maggiormente inquinanti inceneritori. Legambiente infatti sottolinea che bruciare CSS nei cementifici non peggiora le emissioni inquinanti, poiché la legge impone limiti più restrittivi e migliori tecnologie di abbattimento.
Inoltre i cementifici quando bruciano CSS sono obbligati a monitorare alcuni inquinanti – come ad esempio le diossine – che non sono obbligati a monitorare per legge quando bruciano le altre porcherie classificate come combustibili tradizionali. I lavoratori dello stabilimento di Ragusa si riuniranno in assemblea lunedì prossimo al fine di discutere sulle modalità espresse dalla azienda sulla eventuale turnazione atta a garantire i servizi essenziali sia logistici che relativi alla sicurezza.