Giovanni Salvaggio, Alessandro Callari ed Emiliano Tidona sono i tre ragusani fondatori di Wartoy, collettivo di fotografi/videomaker ed esperti in comunicazione che da oltre dieci anni si occupa di un progetto di raccolta dati, informazione e formazione all’informazione nel Nord Kivu e flussi migratori nel Canale di Sicilia.
Come inizia la vostra esperienza in Africa?
“Wartoy – spiegano – è il frutto della confusione, frustrazione e senso di impotenza che il primo viaggio nell’est del Congo ha lasciato nel gruppo. Ci eravamo recati in Congo per un lavoro di documentazione commissionato dalla Diocesi di Noto ed al rientro, dopo aver visto con i nostri occhi il Nord Kivu, dove è in corso la missione di peacekeeping più lunga ed imponente della storia delle Nazioni Unite ed il conflitto più sanguinoso dopo la seconda guerra mondiale (6 milioni di morti), abbiamo deciso di provare, nel nostro piccolo, ad accendere una luce sugli angoli bui e volutamente dimenticati di quella storia. Unendo le diverse competenze che ci caratterizzano abbiamo deciso di creare una organizzazione che facesse della comunicazione sociale volta alla tutela dei diritti umani la sua principale missione. Attraverso l’uso di materiale fotografico ed audiovisivo, ed avvalendoci delle moderne tecniche di comunicazione sociale”.
Di quali progetti vi siete occupati?
Nel corso degli anni sono state numerose le collaborazioni con freelance e professionisti della comunicazione europei ed africani alla piattaforma web di Inkivu e soprattutto al monitoraggio sulla sicurezza delle zone rurali di Beni e Lubero. Il principale progetto di Wartoy è Inkivu. Il progetto è inizialmente nato come piattaforma multimedia per la diffusione di notizie sulla regione del Kivu tramite social (twitter,facebook, tumblr) a seguire abbiamo creato un microstaff congolese (3 elementi) e abbiamo iniziato a formarli come fotoreporter e giornalisti. Filtrando e producendo informazioni attendibili e da fonti selezionate sul Nord Kivu, il nostro network è piccolo ma seguito da gran parte degli addetti ai lavori nel campo dell’informazione della Regione dei Grandi Laghi (soprattutto su twitter). Con il passare degli anni abbiamo localizzato sempre di più la nostra attenzione sul Nord Kivu, e dal 2010 abbiamo legato il nostro lavoro al Tuungane, Il Tuungane è un incontro bimestrale di 90 “comitati di sviluppo” provenienti da Nord Kivu (da Rutshuru a Beni ma ci sono anche alcune delegazioni dell’Ituri) che si incontrano a Kimbulu (Lubero) per parlare e cercare di risolvere problemi pratici di una zona ad alta insicurezza. In oltre 22 anni è diventato una straordinario esempio di partecipazione democratica dal basso ed un caso pressoché unico in tutta la regione dei Grandi Laghi. Il Tuungane è una riunione laica aperta a tutti i villaggi ed è stata creata da un missionario italiano (padre Giovanni Piumatti) che da 40 anni è una figura chiave e mediatore nell’area del Sud Lubero. Da due anni questo progetto principalmente rivolto al sostentamento e miglioramento del Tuungane è stato sposato dal dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, con cui abbiamo iniziato un percorso legato alla documentazione del nostro lavoro. Noi che ci occupiamo di informazione abbiamo avuto un’opportunità unica per centrare il nostro lavoro in un network così vasto, già strutturato e collaudato da decenni”.
Il progetto è alla fase due. Di cosa vi state occupando?
“Dopo aver creato un canale e un piccolo staff, stiamo cercando di affrontare queste nuove sfide:
MAPPING: da due anni stiamo mappando con dispositivi gprs tutte le aree rurali del distretto di Beni e Lubero, raggiungendo zone e villaggi che non risultano nelle mappe commerciali.In questo modo possiamo riuscire a localizzare anche fatti ed eventi anche in zone di foresta e difficilmente accessibili.
MONITORING TUUNGANE: dal 2014 monitoriamo periodicamente le comunità del Tuungane sotto le seguenti voci: istruzione (censimento dei bambini che vanno alla scuola primaria e secondaria), sicurezza (conflitti di terra, conflitti armati, rapimenti), viabilità (condizione delle strade da e per i centri di interesse della singola comunità), infrastrutture e servizi primari (energia elettrica-acqua potabile-strutture di intervento sanitario). Dal 2017 inizieremo a monitorare quali sono i reali interventi delle singole ong tra la rete delle comunità del Tuungane.
CAFFE’ TUUNGANE: All’interno del Tuungane 17 comunità producono arabica di alta qualità tra le aree montuose del Virunga, altre 8 producono robusta nelle zone collinose a ovest del pre-parco.
Durante gli anno ’70, il caffè era la principale voce di esportazione tra i prodotti della terra nelle aree montuose del Congo Orientale, la guerra ventennale con il conseguente abbandono di molte piantagioni ha segnato il tracollo del commercio del caffè in tutto il Kivu. Negli ultimi anni diverse comunità nelle Nord Kivu tornano con coraggio a coltivare caffè e a ricostruire una rete di eccellenza e qualità nella produzione. L’obiettivo del progetto Inkivu è quello ci aiutare il Tuungane a sviluppare una rete di comunicazione tra le comunità e di valorizzare le potenzialità dei villaggi che lo compongono. Gli agricoltori venderanno, ad un prezzo concordato collegialmente in assemblea, direttamente al coffee brand per la realizzazione di una monorigine realmente fair trade.
COMUNICAZIONE INTRA TUUNGANE: stiamo studiando il modo migliore per mettere in comunicazione le comunità del Tuungane (quelle che hanno la luce elettrica) con un sistema di antennini wifi che si istallano alle antenne delle radio locali.
Come mai la scelta del Congo? Che riscontro avete avuto in questi anni a questi progetti?
“Non siamo noi che abbiamo scelto la Repubblica Democratica del Congo ma è lei che ha scelto noi. Abbiamo detto si e come nei migliori matrimoni dobbiamo esserle fedeli fino alla fine. I risultati del lavoro fatto in questi anni sono arrivati in silenzio e dalla porta di servizio. per costruire un rapporto di fiducia con gente che vive quotidianamente una situazione di insicurezza cronica e di promesse non mantenute occorre tempo, molto tempo. Noi non abbiamo avuto fretta e oggi siamo un piccolo punto di riferimento per chi vuole avere delle informazioni gratuite ed indipendenti in un luogo dove le libertà fondamentali sono fortemente compresse. Sulle zone i Beni e del Lubero siamo più informati delle enormi macchine umanitarie internazionali ed istituzionali che come portaerei dentro una vasca da bagno, non riescono (dopo 30 anni) ancora a muoversi nelle zone rurali del Nord Kivu, dove si perpetuano i crimini peggiori e le violazioni umane più gravi. Non è insolito che chiedano a noi cosa accade in zone dove sono dispiegati contingenti militari di peacekeeping e grosse strutture umanitarie”.