Quanta forza d’animo ci vuole per affrontare una grave malattia? Quanta per sperare e credere che la vita valga la pena di essere vissuta anche nel dolore e nella paura? E quanta per sostenere un fratello malato nella lotta contro un male più grande di lui?
La storia dei due fratelli libici che hanno affrontato con una misera barca la forza del Mediterraneo per arrivare a cure nuove racconta, in maniera cruda e disarmante, di questo.
Quando sono sbarcati a Pozzallo, prelevati da una motonave, non avevano praticamente nulla in mano, se non una cartella clinica di dimissioni che attestava un trapianto di midollo non andato a buon fine. Alcuni fogli in diverse lingue, inglese, francese e arabo, testimonianza del calvario vissuto nel tentativo di sconfiggere la leucemia. Sì, perché il maggiore dei due fratelli, di 40 anni circa, è affetto da una forma acuta di questa patologia.
Dopo il vano tentativo del trapianto in un ospedale della Giordania, grazie alla donazione della sorella, la folle e coraggiosa decisione: alla morte certa si è scelto la speranza. Hanno patito un viaggio straziante e pericoloso. In mente solo l’Italia, la Sicilia, il sogno di una terapia efficace.
Un sogno che purtroppo appare ancora lontano. Nonostante l’immediato ricovero al Maria Paternò Arezzo di Ibla, le notizie non sono affatto buone. Unica fievole possibilità l’accesso ad uno studio sperimentale presso l’ospedale Cervello di Palermo. Gli oncologi ragusani stanno effettuando tutti gli esami per capire se il paziente potrà accedere al protocollo aperto e quindi essere trasferito.
Una storia che pretenderebbe un disperato lieto fine, una storia che consegniamo a chi si oppone all’accoglienza, a chi imporrebbe selezioni inumane alle frontiere, a chi chiuderebbe le porte in faccia a tutto ciò che viene visto come diverso o lontano.
Rimangono i due fratelli, in una terra straniera che non parla la loro lingua ma che in qualche modo sta cercando di aiutarli, anche non facendoli sentire soli.