‘Inerti’: un viaggio in Sicilia, Terra dei fuochi. L’intervista all’autrice Barbara Giangravè

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Sicilia. Terra dei fuochi ante litteram. Perché quest’isola, quella che vediamo tutti i giorni, in cui abbiamo la fortuna di aprire gli occhi ogni giorno, è la stessa isola che Barbara Giangravè racconta nel suo romanzo d’esordio “Inerti” (Ed. Autodafè, pp. 198, euro 15,00).

Barbara, giornalista palermitana, attivista antimafia (è stata insignita nel 2011 del titolo di Inspiring Woman of Italy), ritrova  il proprio centro di gravità permanente in questa Terra dei fuochi che farebbe arrossire Napoli, Gomorra e affini d’oltre Stretto. Il viaggio che compie in queste pagine è quello di Gioia, trentenne, che lascia Palermo per trasferirsi nel paese d’origine dei suoi genitori.

Presentazione libro

Chi è Gioia e quanto di autobiografico o, comunque, di personale c’è in questo personaggio?
“Molti credono che Gioia sia il mio alterego. In realtà, non è così. Indubbiamente, Gioia nasce da me, dalla mia rabbia, dal mio profondo amore e dal mio altrettanto profondo odio nei confronti della mia terra d’origine, la Sicilia. Ma la gestazione di Inerti è durata quattro anni e, in questi ultimi quattro anni, sono accadute tante cose nella mia vita. Compreso il fatto che Gioia, pur essendo nata da me, sia stata influenzata da un’altra persona. Oggi Gioia è, in un certo senso, fatta di carne ossa, nonostante viva tra le 200 pagine del libro”.

Potremmo dire che “Inerti” racconta una Terra dei fuochi ante litteram? Come nasce l’idea di parlare di questo tema così delicato che coinvolge tutti, nel bene e, soprattutto, nel male?
“Inerti racconta una Terra dei fuochi di cui non si vuole ammettere l’esistenza. Che sia ante litteram è quanto venuto fuori dalla mia conversazione con Carmine Schiavone. L’idea di parlarne, però, nasce per la prima volta nel 2008, attraverso i racconti di chi, in Sicilia, sostiene che ci siano zone interessate da troppi casi di tumore, apparentemente non giustificati. Si sviluppa attraverso un’inchiesta giornalistica che non è riuscita ad approdare a una conclusione. E si trasforma nella trasposizione letteraria di una storia”.

Sembra di capire, attraverso le pagine del libro, che quei rifiuti sotterrati sono anche metafora di una vita dove si cerca di nascondere il male per poi ritrovarlo e “studiarlo”, “capirne” le origini. La protagonista scava nelle proprie radici in una sorta di seduta maieutica.
“Intesa nel senso socratico del termine, come l’arte di un’antica levatrice, possiamo assolutamente dire così, sì. Gioia si ritrova, suo malgrado, a setacciare anno dopo anno il suo passato perché solo così riuscirà ad aiutare gli altri: aiutando prima di tutto se stessa. Del resto, la maieutica stessa è, per definizione, la pratica dell’aiutare”.

“Inerti” è la sua prima prova letteraria. Quanto ritiene che l’essere giornalista oggi, in una realtà sempre più globale, possa essere utile, anche sotto la forma letteraria di un libro, a tenere desta l’attenzione sui tanti problemi legati all’ambiente e che richiamano, inevitabilmente, l’influsso negativo delle ecomafie?
“A dispetto di quanto si dice riguardo lo stato dell’editoria in Italia, credo che l’utilizzo di un romanzo per discutere di certi temi, sia più efficace di qualsiasi articolo. Se non altro per la possibilità di non essere vincolato da alcun limite: temporale, di battute, persino di editore (di giornali in questo caso) magari non esattamente puro e spesso colpevolmente più interessato ai finanziamenti che non alla pubblicazione di certe notizie. Un libro ti permette di andare in profondità, di spogliarti dei panni del cronista, di abbandonare il sano distacco che devi inevitabilmente avere quando fai il tuo lavoro e di metterci, forse per la prima volta, il cuore”.