Era il 7 febbraio del 2006 quando Sara mangiò quella ‘dannata’ polpetta. Dannata dalla mano dell’uomo troppo avido per avvertire la responsabilità delle proprie azioni.
Un pieno di solfiti, quella roba che ‘colora’ di rosso vivo un pezzo di carne ormai un po’ ‘passato’, ma che in soggetti allergici può scatenare uno shock anafilattico.
Sara mangiò quella polpetta a Catania dove, 22enne, iniziava a costruire la propria vita.
Una polpetta, l’inizio di un calvario durato dieci anni e due mesi. Perchè Sara è rimasta in stato vegetativo, alimentata da un sondino, immobile, ‘addormentata’, ma drammaticamente viva.
Ieri la sua anima è riuscita a separarsi da quel corpo ormai da lunghi dieci anni pesante guscio ammalorato.
Dinanzi a ogni morte l’unica riflessione ricca di significati è il silenzio, per evitare banalità, per rispetto o semplicemente perchè è giusto così, e basta.
Ma c’è una testimonianza dentro questa drammatica storia, che risplende di coraggio e profuma di umanità.
Dieci anni e due mesi nei quali papà Luciano e mamma Gabriella hanno trasformato quell’ergastolo non voluto in un grande, interminabile, gesto d’amore.
Non hanno solo accudito amorevolmente Sara, la cui vita è stata, 24 ore su 24, nelle loro mani e nelle loro cure, ma si son fatti carico del dolore e del grido di aiuto di tante famiglie che vivono un dramma simile al loro.
Hanno raccontato queste storie di mamme, papà, zii, fratelli costretti a fare la spola tra un servizio di assistenza spesso inadeguato e l’impossibilità di ottenere un prepensionamento per accudire i propri cari.
Il duro monito, le battaglie legali, perchè mai più una polpetta avvelenata getti in un girone dell’inferno la vita di una persona e di tutta la sua famiglia.
L’impegno per una legge organica, e quanto più condivisa, per il testamento biologico.
Ci hanno insegnato a guardare dietro le porte chiuse, dove il dolore spesso rimane intrappolato in una dimensione esclusivamente privata. E anche se la tentazione è spesso quella della semplice commozione, la tenacia, la costanza con le quali papà Luciano ha tenuto sempre alta l’attenzione su questi temi è stata, per tanti, innanzitutto, un rinnovato appello a essere umani.
Da circa tre anni Sara era al Suap, in piazza Odierna. Una struttura nata anche grazie alla campagna di sensibilizzazione di Luciano Di Natale, condivisa da tanta gente, in primis il Centro risvegli ibleo.
Ed è lì che, ieri, Sara ha lasciato il suo corpo.
Circondata dall’affetto del personale che l’ha accudita negli ultimi anni collaborando coi suoi familiari.
L’ultimo saluto domani nella chiesa del Preziosissimo Sangue.