“Di cu sugnu
E chi ci fazzu
Chi ci fazzu
‘Nna stu munnu pazzu”
Sono parole del cantautore siciliano Alfio Antico che sintetizzano con la loro semplicità il vissuto di una buona parte degli esseri umani e specialmente dei giovani d’oggi, sempre più smarriti e soli, seppur in mezzo alla più moderna tecnologia.
Generalizzazione o triste panorama di una sempre più amara realtà?
IL CHIARO
L’idea che il mondo sia totalmente impazzito gira sulla bocca di molte persone ogni volta che la cronaca, locale o nazionale, ci pone innanzi scenari raccapriccianti che manifestano fin dove possa spingersi la crudeltà dell’essere umano, associata ad una certa dose di follia e, talvolta, anche di sostanze psicoattive.
In maniera ingenua, quasi in virtù di un pensiero magico, si crede che possa bastare a far sparire la polvere, il semplice voltarsi dall’altra parte, al minimo accenno di problema che si paventa all’orizzonte, fingendo così di non vedere piccoli e primordiali segnali di malessere.
In alcuni casi è più facile delegare altre figure alla risoluzione di tali problematiche giovanili, per esempio, insegnanti o psicologi, scambiati talvolta per coloro che con una bacchetta magica possano risolvere ogni problema. Il tutto senza pensare di intervenire anche dall’interno: in fondo si può “comprare” anche un intervento specifico e quindi perché non scegliere la via più facile?
LO SCURO
Restare sgomenti o pensare banalmente che l’episodio di turno non accadrebbe mai alla propria famiglia, sollevarsi perché successo ad altri, meravigliarsi e basta: di certo sono tutte azioni che non servono a nessuno.
Può aiutare, piuttosto, nel proprio piccolo, provare ad aprirsi maggiormente con chi si vuole bene, specie se figli o giovani desiderosi di essere visti, di essere capiti nella loro difficoltà odierna ad emergere tra la massa; quegli stessi giovani bisognosi di sentirsi appartenenti a qualcuno o qualcosa (un’ideologia, un gruppo di amici, una moda…).
Può servire sforzarsi di andare oltre le apparenze, provare a mettersi nei panni altrui, tentare di ascoltare ciò che spesso si mantiene celato dalle parole: dare fiducia ai messaggi che provengono dalla propria pancia, che avvertono dell’esistenza di un pericolo.
Può servire esprimere dubbi e timori col proprio partner, per condividere scelte e linee di comportamento coi figli.
Può servire non aver paura di fissare alcune regole e paletti, pochi ma saldi.
Può servire non aver timore di parlare coi propri figli, serenamente, anche se gli argomenti sono talvolta spinosi, anche se tratta di parlare di droghe, di sessualità o anche solo di emozioni o di ciò che si prova.
Fornire argini, non rigidi, ma pur sempre contenitivi.
Suggerimenti semplici, brevi, magari persino banali in apparenza, ma oggigiorno fin troppo ignorati, pur di mantenere una calma apparente e pur di non avere toppi impicci…