IL CHIARO
Giovani disorientati, delusi in partenza da un mondo che non li ascolta e non li comprende, assenza di grandi ideali e di prospettive professionali, disillusione: tutti ingredienti capaci di creare un mix molto pericoloso fatto di incapacità a tollerare la noia, difficoltà nel relazionarsi coi pari, ma anche di impossibilità nell’inventarsi o nel mettersi in gioco.
E’ così che bravi ragazzi, impeccabili davanti agli occhi dei “grandi”, ricorrono ad un uso più o meno occasionale di alcol e sostante come una sorta di auto-terapia…
LO SCURO
All’altro capo di una matassa sempre più difficile da dipanare, ci sono i genitori inconsapevoli che leggendo articoli o riflessioni simili a questa, tirano un sospiro di sollievo, pensando di averla scampata coi loro figli, ma ignorando che l’apparente assenza di problemi manifesti (nessun precedente degno di nota, mai nessun richiamo da scuola) possa essere sintomatico di normalità e di lontananza da una qualsiasi forma di disagio.
Eh no, quei loro figli passano di certo il pomeriggio chini sulle loro scrivanie a studiare (portano in fondo persino voti sufficienti o discreti in pagella, no?) e il pomeriggio o la sera qualche legittima e meritata ora di svago insieme agli amici: tutto nella norma, d’altronde è necessario anche quello. Ma il dialogo?
“Eh vabbè! quello limitato a fatti e situazioni generali è pur presente. Basterà…Oppure no…Chissà…”
Il dubbio si insinua e piano piano, il genitore-tipo apre gli occhi:
“E’ un po’ nervoso talvolta, silenzioso, non racconta mai nulla, ma non vorrà dire di certo nulla di grave, fa parte dell’adolescenza di sicuro… Beh, in effetti, non gli chiedo mai come stia realmente, cosa gli passi per la testa, quali siano i suoi sogni e le sue aspirazioni, se è felice o no… ”
Troppo “intimo” e “rischioso” per alcuni genitori, avventurarsi in un terreno oscuro anche per loro.
Basterebbe così poco, ma una volta che il “muro del divario”, si è innalzato, diventa troppo difficile abbatterlo. Non accade per cattiveria, né per indifferenza: talvolta, accade come conseguenza estrema della tendenza diffusa negli stessi genitori a considerare “disdicevole” il manifestare i propri sentimenti, le proprie emozioni. Sono stati abituati a questo dalle generazioni precedenti per le quali era impensabile esprimere il proprio stato d’animo, specie se improntato ad una connotazione negativa (tristezza, dolore, preoccupazione, ecc.). In questo modo, non si insegna ai propri figli a stare coi vissuti e a tollerarli, non gli si trasmette che non c’è nulla di male quando si prova una sensazione o un’emozione negativa: non è di certo il segno di un disastro imminente.
Accade così che chi si ritrova a stretto contatto con i giovani di oggi, chi a vario titolo ascolta le loro confidenze, si accorge della loro sempre più estrema fragilità, di quanto sia facile concedere corpi anestetizzati pur di non appartenere alla categoria degli “sfigati” che non hanno ancora avuto rapporti sessuali, e non importa se non si hanno ancora nemmeno 15 anni o se non si sia affettivamente maturi…
E poi le sostanze: in primis l’alcool o la marijuana che, a differenza di un tempo, è diventata molto più pericolosa per il maggiore quantitativo di principio attivo contenuto, per cui essa non è più considerabile una droga “leggera” (sempre più frequenti, infatti, effetti psichiatrici ed episodi simil-psicotici: da attacchi di ansia e di panico ad instabilità dell’umore, depressione, episodi di depersonalizzazione, derealizzazione, allucinazioni visive, deliri, ecc.).
Si diffonde, inoltre, la tendenza ad emulare i più “grandi”, sempre più precocemente, con pratiche apparentemente incomprensibili come lo ‘sniffare’ non per forza cocaina, ma persino antidolorifici o, ancora peggio, sonniferi, psicofarmaci o qualsiasi sostanza anche “casalinga” e facilmente reperibile che, in alcuni casi, genera effetti simili ed a volte più forti delle droghe di strada.
Lo fanno per provocarsi un po’ di “sballo”, per cercare nuove esperienze o più semplicemente per apparire più simpatici e disinvolti, dato che il guardarsi negli occhi, persino tra coetanei, è diventato sempre più difficile, se non sostenuto dalla certezza di essere “ok”. Quella stessa certezza che un genitore potrebbe trasmettere al proprio, ma in assenza della quale si è spinti dall’illusione di poter ritrovare quella serenità e sicurezza interiore attraverso qualche sostanza.
Alla base spesso c’è quindi la mancanza di un contatto diretto, di un dialogo costante ed aperto con i genitori.
Ai genitori, a questo punto, più che un suggerimento una preghiera: aprire orecchie ed occhi, non per investigare o per cogliere in flagrante qualche marachella… Piuttosto aprire i propri sensi per ascoltare pienamente, per comprendere al di là delle apparenti provocazioni, per mettersi nei panni dei propri figli e tentare di comprendere e sentire le loro paure, i timori e soprattutto il loro estremo bisogno di punti fermi.