Ci sono persone benedette dalla semplice e straordinaria capacità di toccare le vite di coloro che incontrano, lasciandosi a loro volta toccare, coinvolgere, commuovere, costruendo relazioni in cui ognuno riesce a farsi continuamente dono per gli altri e imprimendo segni profondi nelle storie dei cammini condivisi.
Così accade che i momenti importanti – come una partenza, come un commiato – non possano passare inosservati, né restare sospesi, ma si debbano attraversare fino in fondo, con la gioia di guardarsi negli occhi e di dirsi i propri sentimenti. E con la certezza di sapere che non ci si lascerà, ugualmente, mai soli.
Ecco che la celebrazione eucaristica di ieri mattina nella Chiesa Madre di San Pietro, l’ultima di don Corrado Lorefice in quelle che sono state per sette anni la sua parrocchia e la sua città, non è stata nemmeno per un minuto una liturgia formale, solo appena più affollata del solito, né una cerimonia solenne, in onore del nuovo arcivescovo: è stata piuttosto una festa di famiglia, gigante nelle proporzioni eppure essenzialmente intima, calorosa, nutrita dalla ricchezza di legami autentici e profondi, colmi di gioia e di bellezza.
“Abbiamo fatto sì che una cosa che è accaduta a uno sia accaduta a tutti. Ma questa cosa è potuta accadere a uno solo perché abbiamo fatto questa strada insieme”, ha detto Don Corrado dal pulpito, guardando uno ad uno negli occhi quei “fratelli” di cui ha conosciuto così da vicino il cuore. E lasciandosi lui stesso andare alle lacrime, avvolto dagli applausi e dalla commozione. Ci aveva provato, a chiedere che fosse una domenica come le altre, a lui così care: “Ma certo, il cuore è cuore e questa domenica ci chiede di custodirne uno limpido, lucido”.
Ce ne sono state cinque, in quest’ultimo mese da parroco, da quando è arrivata ufficialmente da Papa Francesco la sua nomina ad arcivescovo di Palermo: in questo tempo così breve, ma così intenso, don Corrado è riuscito in ogni singolo giorno a dedicare un pezzetto di tempo a tutti coloro che gli hanno chiesto ancora una visita, ancora una parola. E dunque ognuno ha potuto vivere la celebrazione di ieri come un modo per ricambiare, per dargli con la propria sola presenza un saluto personale, il forte abbraccio che si ha voglia di lasciare a un amico che parte: “Ci siamo radunati accanto, per vivere questo momento insieme. Ecco – ha ricordato don Corrado nell’omelia – qual è il significato autentico di una parrocchia: una casa tra le case, dove si scopre il vero senso della città. Una casa aperta, perché possa sempre qualcuno entrare e perché se qualcuno esce, possa farlo accompagnato da una parola di benedizione. Il nostro affetto di questi giorni, in questo afflusso diretto da cuore a cuore, nessuno di noi avrebbe potuto versarlo in questo modo, nella reciprocità, se non nel senso di una coralità ritrovata, nello stringerci insieme”.
E non con l’animo di chi se ne va, “perché continueremo il nostro cammino insieme, laddove il Signore ci pone”, ma solo con quello di chi cerca una parola da lasciare come testimonianza, come compagnia, Don Corrado ha scelto di chiudere rileggendo un passo della liturgia della parola di ieri, dalla prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: “Non ho mai lasciato una lapide – ha detto – in nessuno dei luoghi in cui ho svolto il mio ministero, ma se dovessi farlo qui ci scriverei sopra proprio questo testo di oggi, che ci riguarda: fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori. Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio, e così già vi comportate, possiate progredire ancora di più”.
Il quaderno rosso della parrocchia, da portare a Palermo: “Sappiamo che ci terrai nel cuore”
Un quaderno rosso, da mettere “come sigillo sul cuore”. Tra tutti i regali con cui Modica e le sue due parrocchie, San Pietro e San Paolo, hanno salutato Don Corrado, queste pagine scritte in poche ore da quei tanti suoi fratelli che hanno continuato a passarselo di mano in mano ancora durante la messa, sono quelle che raccontano appieno questi setti anni, “l’esserci di Corrado” in mezzo a loro.
“Un vero e proprio elettrocardiogramma al cuore di queste due comunità”, l’ha definito il professor Antonio Sichera, provando a fare una sintesi di quei tanti battiti, nel consegnarglielo, alla fine dell’assemblea parrocchiale che ieri ha seguito la celebrazione eucaristica: ogni pensiero con una penna diversa, le firme dei bambini accanto a quelle dei genitori, citazioni bibliche e ricordi divertenti, storie piene di concretezza di vita e ad ogni passo tante parole sugli abbracci, sulle mani, sulle carezze, quasi che questo parroco non possa proprio fare a meno del corpo nel suo modo spontaneo di tessere relazioni. “Di essere assistito dal corpo”, ha notato Sichera: “Un corpo disposto alla vicinanza, pronto alle lacrime. È vero che l’abbiamo visto piangere spesso, Don Corrado, e non certo per un atteggiamento costruito. Lui è così: buono e deciso, paziente e focoso, sempre lì, con i suoi occhi, col suo cuore naturalmente limpido, impossibilitato a sottrarsi alla chiamata di un altro”. Sichera non a caso ha citato Dietrich Bonhoeffer, a cui è stato dedicato il Cenacolo nato proprio dentro la parrocchia di San Pietro, per salutare don Corrado: “Essere cristiano – scriveva il teologo – non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi, ma significa essere uomini. Cristo non crea in noi un tipo d’uomo, ma un uomo”.
Ecco, i pensieri di questi settimane e ancora di ieri, sono stati pensieri di uomini per un uomo. “Una miniera di emozioni, dalla tristezza alla gioia, al ringraziamento”, li ha definiti con esattezza Rosaria Lisi, che insieme a Giovanni Salonia ha dato argomenti di riflessione all’assemblea parrocchiale. Due psicoterapeuti della Gestalt, non a caso. E se la dottoressa Lisi, da esperta in teologia biblica, ha offerto le proprie riflessioni sulla coppia e la famiglia, attraverso un’interessante lettura delle figure di Maria e Giuseppe (e un significativo parallelismo delle “annunciazioni”, con riferimento a quella appena ricevuta da Don Corrado), Giovanni Salonia, con la sensibilità del frate cappuccino, lo ha fatto sul tema del governo: “Un governo – ha detto, citando l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus – che per essere educativo deve saper essere fraterno. Gesù li accompagna i due discepoli su una strada sbagliata, ascolta fino in fondo le loro obiezioni, prima di spezzare il pane e aprire loro gli occhi. Quello che fa, è stabilire con loro una relazione, su cui fondare un governo educativo”.
Un augurio, in qualche modo, per don Corrado, di continuare a tessere relazioni in cui si sta “con un cuore caldo, una mente lucida e occhi capaci di guardare il mondo”.
[Fonte La Sicilia]