Nuovo colpo di scena a due giorni dall’udienza preliminare davanti al Gup del Tribunale di Ragusa.
In questi momenti Veronica Panarello, insieme al legale di fiducia, Francesco Villardita, è accompagnata dagli inquirenti nel posto dove avrebbe gettato lo zainetto del figlio Loris.
La donna è accusata di avere ucciso il figlio e di aver occultato il cadavere. Solo qualche giorno fa, la donna avrebbe fornito una nuova versione dei fatti dinanzi al Pm Marco Rota e agli investigatori.
Proprio oggi la Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui era stata respinta l’istanza di scarcerazione avanzata nel mese di maggio da parte della difesa della Panarello.
Secondo i giudici della Suprema Corte, la custodia in carcere di Veronica Panarello deve essere mantenuta perchè si basa “su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro che appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica nell’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità nel senso della conducenza con elevato grado di probabilità della responsabilità dell’indagata per l’omicidio”.
Secondo i giudici della Prima sezione penale della Suprema Corte, i magistrati del riesame di Catania, con ordinanza del 3 gennaio 2015, hanno correttamente convalidato la misura cautelare per i “gravi indizi di colpevolezza” a carico della donna. Secondo gli ‘ermellini’, tra gli elementi a carico della madre di Loris – che nei giorni scorsi ha detto al pm Marco Rota di non aver accompagnato il figlio a scuola il giorno del delitto, avvenuto il 29 novembre 2014 a Santa Croce – ci sono “gli spostamenti dell’indagata accertati tramite le videoriprese delle telecamere pubbliche e private”, “il mancato arrivo a scuola del bambino mentre l’indagata ha continuato ad affermare di avere accompagnato a scuola Loris”, “la localizzazione della Panarello tra le ore 9,25 e le ore 9,36 di quella mattina in zona prossima a quella in cui e’ stato trovato il cadavere, successivamente giustificata con il percorso fatto per buttare l’immondizia, benché fosse in direzione opposta a quella per Donnafugata, luogo dove la donna si doveva recare“.
Ulteriori elementi indizianti sono, prosegue la Cassazione, “il ritrovamento a casa dell’indagata di fascette di plastica del tipo di quella utilizzata per strangolare il bambino che la donna aveva giustificato sostenendo che il figlio le aveva portate in classe perché servivano per fare esperimenti, circostanza smentita dalle insegnanti”. E poi, – prosegue il verdetto della Cassazione – “le menzogne dell’indagata nella ricostruzione dei suoi spostamenti”, e “il fatto di non aver contattato il marito una volta resasi conto della scomparsa del figlio”.
Secondo i supremi giudici “i tratti della ‘personalità contorta’ della Panarello, indicati dal tribunale del riesame al fine di meglio contestualizzare l’omicidio, sono stati tratti dal racconto del vissuto familiare fatto dalla stessa indagata, oltre che da circostanze riferite da testimoni quali la sorella, Antonella, l’amica e vicina di casa, e anche dai commenti della madre e della sorella captati nelle conversazioni intercettate.
I supremi giudici, inoltre, rilevano che al ricorso non è stata “neppure” allegata la consulenza di parte “che indicherebbe le ragioni per le quali l’allineamento orario sarebbe errato e la tempistica indicata dagli investigatori sarebbe contraddetta”, e non allegata risulta anche la consulenza medica di parte sulle modalità dell’azione omicida e quelle sulle testimonianze.