“Ho amato questa Chiesa dal primo momento”. Le ‘confessioni’ del vescovo Paolo Urso

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Urso:

“Ogni diocesi è una comunità che cammina, da anni, con la successione di vescovi diversi. E’ una comunità che parte da lontano e che continua a camminare. I vescovi sono coloro che salgono in questi treni in corsa. Prima si rendono conto, osservano, poi danno i loro orientamenti particolari, indicazioni specifiche, ognuno secondo lo stile che è proprio. Io ho trovato una Chiesa in cammino, vivace, abbastanza giovane, capace di guardare oltre. Mi sono inserito, ho guardato, cercando di comprenderla, di conoscerla e soprattutto l’ho amata dal primo momento. Ho impegnato le mie capacità, le mie qualità, tutto quello che Dio mi ha donato”.

Il vescovo Paolo Urso guarda ai suoi tredici anni di ministero episcopale con serenità e un pizzico di nostalgia. 

Il lasciare dà sempre un po’ di nostalgia. C’è la gioia di un rapporto che c’è stato, una relazione che si è intessuta ed è cresciuta di giorno in giorno, il contatto con le persone, con tutti, senza condizionamenti, senza limiti, come persone, istituzioni, città, problemi. Questo mi ha ha fatto sentire realmente un Ragusano. Ho avuto la possibilità di cogliere la bellezza di questa terra e di questa gente. Nel momento in cui questa esperienza si chiude, da una parte c’è un senso di gratitudine per quello che si è avuto, di gioia per le persone conosciute e le cose realizzate. E c’è un po’ di nostalgia, di rimpianto lasciando un servizio. Ma l’affetto, la simpatia, l’amore, questi sono dati duraturi: non finiscono con la fine di un mandato, continueranno sempre.

In questi anni migliaia di visi, incontri, momenti significativi. Cosa porterà nel suo cuore?

“I momenti sono di natura molto diversa. Tra quelli pubblici di rilievo è stata la marcia per la pace del 2005. Avevamo chiesto noi di tenerla qui a fine anno. Fu un’esperienza bellissima: la porterò nel cuore. Ancora oggi gente di Padova mi telefona, ricordando quella marcia, la cioccolata calda all’una di notte in via Coffa. Ci sono stati tanti momenti belli, nei quali abbiamo vissuto la gioia di essere una comunità dal cuore grande. Porto nel cuore poi gli incontri con le persone più semplici i poveri, i più fragili, gli ammalati, le persone in coma da anni. Ricordo bambini che in questi 13 anni ho visto crescere, maturare. E quindi nel cuore porto sia i grandi avvenimenti sia questi incontri, che possono sembrare piccoli, ma ogni incontro è un grande incontro”.

Con lo sguardo fisso alla Parola di Dio, ha sempre pronunciato parole schiette, pensieri di grande apertura, nel solco del Magistero della Chiesa. Qualcuno, una porzione largamente minoritaria per non dire uno sparuto numero di persone, ha storto un po’ il naso su alcune affermazioni, che per la verità poi sono risuonate negli anni pure da parte di tanti altri presuli. 

“Io sono grato al Concilio col quale sono cresciuto: ho avuto maestri che mi hanno aiutato a comprendere il messaggio del Vaticano II, mi hanno educato alla laicità vera, che non è ignoranza, indifferentismo, ma rispetto della varietà delle istituzioni. Ho avuto sempre ben chiaro il rapporto tra chiesa e comunità politica. Ho stabilito rapporti leali di collaborazione con chiunque, ma di dipendenza nei confronti di nessuno. Ma mi sono messo al seguito di alcuno, ne ho chiesto ad altri di mettersi al mio seguito, perché ognuno deve fare la sua strada. Incontrandosi, confrontandosi, ma avendo come obiettivo il bene delle persone. Alcuni momenti, alcune affermazioni hanno potuto fare effetto, ma erano cose a mio modo di vedere ovvie, talmente evidenti che sono rimasto colpito da certe reazioni. Ma era il senso dell’attenzione alle persone che vanno rispettate sempre, in qualunque situazione, qualunque sia il proprio vissuto. E’ l’annunciare la parola del vangelo di misericordia, di accoglienza, ma anche di guida e di luce. Mi piace sottolineare però che questo non è stato il cammino del vescovo che camminava per conto proprio, ma il cammino di una Chiesa dove lo scambio è costante. Se io comunicavo ciò che ritenevo opportuno la Chiesa mi aiutava a capire, insieme siamo andati avanti”.

Un primo incontro con il nuovo vescovo, insieme al clero diocesano, c’è già stato a Pergusa. Cosa chiederà al suo successore?

“Qualcosa gliel’ho già detta. Gli chiederò di inserirsi in questa Chiesa particolarmente vivace, di amarla e servirla come si è fatto negli anni precedenti. Questa è una comunità giovane, e questo è significativo. Le comunità vecchie risentono della pesantezza e dell’usura del tempo. Questa è una Chiesa giovane, piene di entusiasmo. Come in qualunque organizzazione giovane possono esserci imprudenze, visioni ancora non ampie. Però è una Chiesa che, se si sente amata, segue, inventa, costruisce, immagina, realizza. E quindi direi: se si ha capacità di sguardo prospettico molto ampio, coi giovani, e con una Chiesa giovane è lo stesso, si potrà costruire sempre tanto. Bisogna avere capacità di guardare lontano. Poi il cammino sarà come sarà, ma la prospettiva ampia è fondamentale. Non ci si può muovere mai, specialmente in tempi di cambiamenti come il nostro, con visioni anguste e piccole. L’ampiezza di sguardo abbraccia tutto. In questa Chiesa è davvero possibile realizzare molti sogni”.

Lascia dei ‘sogni’ in eredità al nuovo vescovo?

“Credo occorra incrementare gli oratori. Sono convinto che oggi più di ieri c’è bisogno di oratori. Parrocchie che abbiano luoghi dove poter, giocare, riflettere, pregare. C’è stato un incremento in questi anni, ma dovrebbe essere ancora più ampio. Avevo il sogno di aprire una scuola di restauro: ci sono tante opere in questa diocesi, e sarebbe stata un’occasione di lavoro. Ma non è stato possibile. Un altro sogno penso si realizzerà in contrada Magnì. Una struttura dove i bambini disabili sono aiutati attraverso i cavalli o agli asini. Un sogno che mi è nato vedendo la forza che scaturiva dal rapporto della persona disabile col cavallo o con l’asino. Questi ragazzi disabili a contatto con i cavalli ricevevano un’energia impensabile. Ho detto: dobbiamo costruire una struttura che possa rispondere a questo bisogno, far vedere una città, una Chiesa sempre attenta a queste situazioni che hanno bisogno di un sostegno particolare. Altre cose, ovviamente, le custodisco nel cuore”.

Dopo il 28 novembre tornerà a casa, ad Acireale. Cosa farà?

Mi metterò a disposizione seguendo i suggerimenti del vescovo di Acireale. Mi dedicherò alle confessioni, all’accompagnamento personale. Rifletterò, pregherò, continuerò a studiare e a leggere. Le mie due grandi passioni sono le persone e la lettura. Una terza passione sono i viaggi, ma dipenderà dalle mie forze fisiche”.