Bara bianca, fiori bianchi, volti attoniti e occhi giovani gonfi di lacrime. Troppo giovani per conoscere il dolore di una perdita simile. Sono stati celebrati oggi pomeriggio, nella chiesa di San Giovanni Battista, i funerali di Elisabetta la quindicenne che ieri, nel giorno del suo compleanno, ha concluso il suo percorso terreno con una scelta inspiegabile.
In testa al corteo i familiari, a seguire i gruppi Scout di cui Elisabetta faceva parte e poi le autorità cittadine e non solo. Migliaia di persone hanno reso omaggio alla piccola.
Ieri sera gli amici avevano in programma la festa per il suo compleanno, ma a quella festa nessuno è mai andato.
“Elisabetta è passata dal tempo all’eternità – ha detto monsignor Calì nel corso dell’omelia – e nessuno dubiti del fatto che lei sia già con Dio”.
All’uscita della bara palloncini e applausi, poi l’ultimo viaggio.
Ogni morte lascia attoniti, davanti a un’inesauribile domanda: perché? Ma non tutte le morti sono le stesse, e quella della giovane Elisabetta porta con sé domande troppo difficili per poter solo pensare a qualche risposta.
Interrogativi che rimarranno, insieme a qualche eventuale risposta, nell’unico ‘luogo’ dov’è giusto che siano, senza che la morbosità o il pettegolezzo violino un dolore che – nonostante l’impatto collettivo di un fatto così triste – rimane sempre rigorosamente privato.
Semmai, con una riflessione più ampia e che non sia in alcun modo un riferimento diretto alla triste storia di questi giorni, è la società intera che potrebbe porsi delle domande sui nostri giovani/ragazzi, sul rapporto adolescenti – adulti.
“Cosa ostacola un dialogo aperto con i propri figli? Cosa teme realmente un genitore che non pone attenzione ai campanelli d’allarme che potrebbero manifestare un disagio profondo? Perché un genitore non riesce a trasmettere al proprio figlio l’idea che sia possibile superare insuccessi e fallimenti?”. Scriveva la dottoressa Daniela Maimone, psicologa e psicoterapeuta, in un articolo sul tema dell’adolescenza, qualche tempo fa.
Come aiutare i genitori a capire questi ragazzi sempre più ‘enigmatici’?
“La famiglia – citando ancora la psicologa – dovrebbe essere come un ‘contenitore’ per i figli, in grado di rassicurare e al contempo introdurre una giusta dose di regole (che trasmettono senso di sicurezza e tranquillità ai giovani, nonostante il loro costante opporvisi). Ma di certo, le vie di mezzo, considerate le migliori, non sono sempre così facili da mettere in pratica. L’optimum sarebbe avere un dialogo aperto e costante che informi il genitore di eventuali malesseri più o meno manifesti, prima che essi possano condurre ad un disagio più pervasivo e a processi inarrestabili. In generale, un genitore pronto ad ascoltare in primo luogo se stesso e le proprie emozioni è in grado di comunicare indirettamente al figlio che non bisogna temere il dolore, la rabbia, la sofferenza, l’angoscia, anche se tali vissuti interiori possono apparentemente intimorire”.