L’urlo di Eva: “La mia sedia a rotelle si è rotta, ma l’Asp non mi aiuta. Così rimarrò in un letto”

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sedia a rotelle

“Che la sanità a Ragusa non stia passando un momento felice è ormai noto, ma dover supplicare per un mio diritto mi sembra davvero troppo. Non ho santi in paradiso e le ‘raccomandazioni’ non appartengono alla mia cultura. Ho 26 anni e scrivo da Ragusa e voglio urlare pubblicamente la mia odissea che mi ha portata, come ultima chance, a rivolgermi a voi della stampa”.

Inizia così una lettera di una giovane ragusana che vuole solo una cosa: il rispetto dei propri diritti.

Eva, la chiameremo così, racconta con grande dignità la sua storia.

“A seguito di un incidente stradale ho subito una lesione spinale e adesso vivo da 7 lunghissimi anni sopra una sedia a rotelle. La stessa sedia che per sette anni mi ha accompagnata nel mio percorso. Adesso l’usura del tempo ha ridotto a brandelli quel che resta della carrozzina: le manopole si staccano ogni due tre, il cuscino su ci si appoggia è scoppio, lo schienale che mi sostiene è instabile, i braccioli sono pericolanti, le ruote sono totalmente squarciate e gli altri componenti della sedia sono precari. Senza la mia sedia a rotelle vivrei la mia vita su di un letto.

Due anni fa mi sono rivolta all’Azienda Sanitaria Provinciale seguendo il normale iter burocratico per la sostituzione e/o riparazione dei pezzi. Non ricevetti nessuna risposta e riparai la mia carrozzina con scotch ed altri materiali di fortuna. Tornai alla carica provando a far valere i miei diritti… e le mie speranze. Ripresentai la documentazione per farmi consegnare una sedia nuova di zecca richiesta, fra l’altro, dall’unità spinale del Cannizzaro di Catania!

Le risposte sono state brevi, sempre uguali, fredde, quasi inumane. “Non dipende da noi, c’è una lista da rispettare, abbiamo problemi di budget”.

Sono andata di persona all’Asp di Ragusa ma nessuno ha voluto ascoltare la mia richiesta ne tantomeno fornirmi delle risposte in merito alla mia condizione. Il silenzio delle Istituzioni, dalle quali vorrei sentirmi tutelata, mi preoccupa perché non ho più altre strade da percorrere. Ho bussato a qualsiasi porta, trovandola sempre chiusa. Adesso la mia sedia a rotelle è arrivata al capolinea e con essa anche la mia speranza di mettermi al pari con tutti gli altri”.

Le parole di Eva sono pesanti come macigni, un commento, anche il più acuto e accorato, finirebbe per sminuirle. In tempi di tira e molla su primari e guerre di campanile per posti di prestigio, qualcuno dimostri che la sanità pubblica ha ancora un residuo del suo alto compito.

Una sedia a rotelle per Eva: nessun regalo, le spetta e basta.