Peppe Borgese, “il Mister”, se n’è andato alla fine di una domenica di inizio campionato, dopo aver visto il suo Comiso disputare l’ultima partita, contro il Marina di Ragusa.
Una vita al servizio dello sport e dei suoi ragazzi. E quei ragazzi, di ieri e di oggi, nel pomeriggio c’erano tutti, in corteo dietro il suo feretro e assiepati agli angoli e sulla scalinata della chiesa di San Biagio, a Comiso. Una chiesa troppo piccola per accogliere le migliaia di persone accorse per porgere l’estremo saluto ad una persona alla quale tutti volevano bene. La moglie Patrizia e i figli Alba e Nenè, familiari, amici, studenti, calciatori e allenatori, semplici conoscenti.
A loro Don Franco Ottone, che ha officiato la Santa Messa, si è accoratamente rivolto, affinché in questo momento tanto doloroso cerchino rifugio nella fede.
“Quando muore una persona – ha detto – siamo soliti ricordare solo la parte più bella del suo essere, perché il mistero della morte ci fa questo dono: non lascia spazio a ciò che non è buono e positivo. Nella vita di tutti i giorni siamo presi da mille cose, talmente affaccendati da non renderci conto dell’importanza di chi ci sta intorno. Comprendiamo quanto siano speciali sono nel momento in cui li perdiamo, e la morte ci ricorda e ci insegna anche questo: quanto sia fondamentale vivere sempre e in pienezza chi amiamo e ci ama. Peppe cose belle nella sua vita ne aveva e ne ha fatte tante – ha proseguito Don Franco, parlando da prete e da amico commosso – e adesso non ci resta che affidarlo a Dio, affinché possa iniziare una parte ancora più bella della sua vita”.
Un uomo forte e tenace, che stravedeva per la sua famiglia, che quando entrava in campo si vedeva che voleva bene ai suoi ragazzi e che loro volevano bene a lui. Così Don Franco ha ricordato l’insegnante, l’ex calciatore, l’allenatore, il marito, il papà, l’amico. Quell’amico conosciuto non appena arrivato a Comiso da Monterosso, che lo chiamava “Francù” e al quale lo ha sempre legato l’amore per il calcio. “Peppe, che ha cresciuto generazioni di ragazzi, adesso corre, allena e gioca su un campo più bello e per vederlo basterà alzare gli occhi al cielo, come fanno sempre i giocatori dopo un gol”.
Il sacerdote ha quindi voluto leggere le parole, commoventi nella loro semplicità, che uno dei suoi piccoli allievi gli ha lasciato scritte su un bigliettino deposto sulla bara: “Ricordo il primo incontro e come, da quel momento, sei diventato come un padre. Proprio quando dovevamo iniziare a giocare, però, te ne sei andato. Non riposare neanche adesso, continua ad allenare in cielo e non ti dimenticare mai di noi”.
Infine la dedica dell’amata figlia Alba: “Mi hai portata al palazzetto dello sport che avevo sei anni e mi hai insegnato l’amore per lo sport e la famiglia, il senso del dovere e dell’orgoglio”.
Tanti i momenti degli applausi nel corso della cerimonia, proseguita poi con il corteo funebre che ha raggiunto poi, com’era naturale che fosse, lo stadio comunale. Qui l’omaggio della città, dei tifosi, della società intera. Qui dove tutto è finito e dove tutto inizia, dato che la struttura, per volere dell’amministrazione, porterà presto il suo nome.